(da GUIDA PRATICA AMMINISTRATIVA)
LA GESTIONE ASSOCIATA TRA I PICCOLI COMUNI
Di Arturo Bianco
Una delle scelte di maggiore rilievo contenute nel DL n. 138/2001 è costituita dalla forte accelerazione che viene impressa alla gestione associata dei servizi e delle funzioni amministrative da parte dei piccoli e soprattutto dei piccolissimi comuni. Con questo provvedimento si dispone in particolare che tutte le funzioni amministrative, ivi compresa l’approvazione del bilancio, debbano essere gestite da parte dei comuni con popolazione inferiore a 1000 abitanti tramite unioni dei comuni ovvero tramite convenzioni. Ed ancora che la nascita di tali unioni è disposta dalle regioni su proposta dei comuni e che ad esse vanno trasferiti i dipendenti ed i rapporti giuridici dei singoli comuni. Ed inoltre che in questi centri sono abolite le giunte. Per i comuni con popolazione compresa tra 1.001 e 5.000 abitanti viene stabilito che l’obbligo della gestione associata di tutte le funzioni fondamentali decorra dal 31 dicembre 2012 e la soglia minima di abitanti che deve essere in tal caso raggiunta è fissata in 10.000 abitanti.
Occorre subito ricordare che queste disposizioni si applicano immediatamente nelle regioni a statuto ordinario. Esse si applicano anche, per esplicita previsione legislativa, nelle regioni a statuto speciale. Ma in tali realtà la concreta applicazione avviene nel rispetto delle norme contenute nei relativi statuti e delle disposizioni dettate dalla legge n. 42/2009, il cd federalismo fiscale. Ricordiamo che tale disposizione stabilisce una entrata in vigore differita di 2 anni dal termine di scadenza previsto per l’emanazione dei decreti legislativi attuativi e con modalità operative che possono essere definite di “federalismo cooperativo”, cioè con la partecipazione attiva delle regioni stesse.
IL CONTESTO
Nel testo della legge di conversione del DL n. 138/2011 vengono corrette le scelte del testo iniziale del decreto di più difficile applicazione concreta e che, nel contempo, erano assai discutibili nel merito. Non tutti i dubbi sono risolti e non tutte le soluzioni adottate appaiono convincenti. In particolare, rimangono in piedi i dubbi sulla validità delle scelte, sugli effetti concreti che esse possono determinare sia ai fini del contenimento della spesa pubblica che per il miglioramento della qualità e quantità dei servizi erogati da parte dei piccoli centri. Ricordiamo che ai fini del contenimento delle spese per il funzionamento degli organi sono dettate anche le disposizioni per la drastica riduzione del numero dei consiglieri e degli assessori nei comuni fino a 10.000 abitanti e per la esclusione dei consiglieri dei comuni fino a 1.000 abitanti dalle indennità e dai gettoni di presenza e dal rimborso al datore di lavoro degli oneri per le assenze. Inoltre, nei comuni fino a 15.000 abitanti le riunioni dei consigli e delle giunte vanno tenute di norma in orari non lavorativi. Per tutti i comuni e le province i consiglieri non hanno più diritto ad assentarsi per l’intera giornata in caso di riunioni dei consigli, ma solo per il tempo di loro svolgimento effettivo. Sono inoltre dimezzati i consiglieri provinciali. Ed ancora, si possono nutrire dubbi sulla opportunità di inserire queste misure in un provvedimento finanziario e non in una disposizione istituzionale. Tutte queste ragioni sono alla base della decisa ostilità con cui l’Anci e gli amministratori dei piccoli comuni guardano a queste misure, tanto è vero che sono già stati anticipati ricorsi alla Corte Costituzionale in quanto gli stessi violerebbero l’autonomia dei comuni. Mentre il provvedimento, a volere prevenire questo tipo di censura, evidenzia le sue finalità di coordinamento della finanza pubblica ed il riguardare le modalità di esercizio delle funzioni fondamentali, materie che l’articolo 117 della Costituzione rimette alla competenza legislativa dello Stato.
Con questo provvedimento si mette dunque la parola fine ad un dibattito sulla necessità di dare corso alla gestione associata da parte dei piccoli comuni che si sviluppa da numerosi anni, quanto meno dall’intervento con cui il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, Bettino Craxi, all’assemblea nazionale dell’Anci dell’ottobre del 1996 prospettò il superamento forzoso dei piccolissimi comuni, proposta peraltro già presente nella proposta di legge “per la Repubblica delle autonomie” presentata dall’on Aldo Aniasi già nel settembre del 1978.
I COMUNI FINO A 1.000 ABITANTI
I comuni con popolazione inferiore a 1.000 abitanti devono necessariamente gestire in forma associata tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici loro spettanti. Per cui in capo ai singoli comuni non dovrebbe residuare alcun tipo di compiti. Tale conclusione è in un qualche modo contraddetta dalla previsione per cui il personale impegnato nelle funzioni trasferite alla forma associativa deve essere trasferito alla stessa; siamo in presenza di una disposizione che è dettata con evidenti finalità di “norma di chiusura”. La stessa disposizione è dettata anche per la adozione e gestione del bilancio, nonché per la successione nei rapporti giuridici. La forma associativa scelta dal legislatore è quella della unione, che come vedremo presenta alcune caratteristiche peculiari che la differenziano da quella disciplinata dall’articolo 32 del DLgs n. 267/2000. A queste unioni possono aderire anche i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti; per queste amministrazioni opera il vincolo che essi devono trasferire alla unione tutte le proprie funzioni ed i servizi pubblici loro attribuiti dalla legge, cioè si applicano le stesse regole dettate per i comuni più piccoli. L’adesione di tali comuni costituisce una possibile risposta ai vincoli dettati per la gestione associata nei comuni fino a 5.000 abitanti.
LE UNIONI DEI PICCOLISSIMI COMUNI
La forma principe indicata dal legislatore per la gestione associata è l’unione dei comuni disciplinata dall’articolo 32 del DLgs n. 267/2000 (per cui viene abbandonata la indicazione del testo iniziale di dare vita ad una nuova istituzione, l’unione municipale, anche se queste unioni presentano alcune caratteristiche peculiari, diverse da quelle ordinarie).
Esse devono avere la soglia minima di 5.000 abitanti, che scende a 3.000 nelle zone montane, intese come comuni che fanno o hanno fatto parte di comunità montane. Viene previsto che le regioni hanno 2 mesi di tempo dalla entrata in vigore della legge di conversione, cioè entro la metà del mese di novembre, per dettare una diversa soglia, che può essere sia più bassa che più alta.
A queste unioni non si applicano tutte le regole dettate dal legislatore per quelle ordinarie e contenute nell’articolo 32 del DLgs n. 267/2000, testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali. Infatti si prevede che il loro consiglio è formato dal sindaco e da 2 consiglieri per ogni comune aderente. Tra i 2 consiglieri 1 deve rappresentare la opposizione, per cui si richiede il voto del consiglio con una scheda in cui sia possibile esprimere solo 1 opzione, cd voto limitato. Con legge nazionale potrà essere disposta la elezione diretta degli organi di governo delle unioni. Le competenze del consiglio della unione sono le stesse dei consigli comunali.
Altra peculiarità di questa unione è che Il presidente deve essere eletto dal consiglio tra uno dei suoi componenti e quindi non è necessariamente un sindaco come previsto dall’articolo 32 del TUEL per le unioni ordinarie, per cui può essere un consigliere comunale addirittura di minoranza nel suo ente. Il presidente dura per 2 anni e mezzo ed è rinnovabile, senza alcun limite di numero di mandati. Con la scelta dei 2 anni e mezzo il legislatore vuole evidentemente tenere conto delle modificazioni determinate dalle elezioni che si siano nel frattempo svolte.
La giunta è nominata da parte del presidente ed i suoi componenti devono essere necessariamente sindaci; il loro numero complessivo non deve superare quello dei componenti le giunte dei comuni che hanno lo stesso numero di abitanti.
Viene inoltre previsto che gli amministratori delle unioni che percepiscono compensi quali amministratori di enti locali non devono percepire alcun compenso aggiuntivo e che essi devono optare per una sola forma di trattamento accessorio. Tale divieto vale anche nella fase transitoria e di prima applicazione.
Si deve inoltre evidenziare che lo statuto è approvato dal consiglio dell’unione e non dai consigli comunali, come previsto dall’articolo 32 del DLgs n. 267/2000.
LE CONVENZIONI TRA I PICCOLISSIMI COMUNI
Il legislatore prevede che i comuni fino a 1.000 abitanti abbiano a propria disposizione una opzione alternativa. Se entro il 30 settembre 2012 dimostreranno di gestire in modo associato tramite convenzioni tutte le funzioni amministrative e tutti i servizi pubblici non dovranno dare corso alla istituzione della unione. Tale dimostrazione deve essere fornita tramite la trasmissione al Ministero dell’Interno, entro il termine del 15 ottobre 2012, di una “attestazione comprovante il conseguimento di significativi livelli di efficacia ed efficienza nella gestione”. Il contenuto di tali attestazioni deve essere dettato con uno specifico decreto del Ministro dell’Interno da adottare entro i 3 mesi successivi alla entrata in vigore della legge di conversione, cioè entro la metà di dicembre. Il Ministero sarà chiamato a svolgere un controllo non solo formale, ma anche sostanziale delle scelte delle singole amministrazioni ed entro il 30 novembre 2012 pubblicherà l’elenco dei comuni che sono esentati dall’obbligo di dare vita alle unioni.
L’ENTRATA IN VIGORE
Queste nuove unioni dovranno nascere non prima del 2013, cioè della prima elezione successiva al 13 agosto 2012 anche in uno solo dei comuni interessati. Questa decorrenza si sposta in avanti nel caso in cui nessuna amministrazione sia interessata dal rinnovo elettorale in questa tornata di elezioni amministrative. Da tale data decadranno automaticamente tutte le giunte dei comuni aderenti alla unione, ivi comprese quelle dei comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti che avranno delegato alla unione tutte le proprie funzioni amministrative ed i servizi attribuiti. I consigli avranno unicamente poteri di indirizzo rispetto alla unione. Alla base della abolizione delle giunte sembrano esservi 2 ragioni: in primo luogo la riduzione del numero degli amministratori ed il conseguente contenimento dei cd costi della politica; in secondo luogo la considerazione che l’ente è privo di compiti gestionali, per cui la gran parte delle competenze delle giunte è da considerare superata.
Il legislatore vincola le unioni esistenti alla data in cui entrano in vigore le nuove regole ed a cui partecipano comuni con popolazione inferiore a 1000 abitanti, quindi al 2013 per le prime realtà, ad adeguare “i rispettivi ordinamenti alla disciplina delle union” previste per questi centri. Ad esse viene concesso il termine di 4 mesi dalla entrata in vigore delle nuove regole, quindi non prima della estate del 2013.
La necessità di ripensare il modello organizzativo si completa con la previsione per cui vi è la decadenza automatica o “di diritto” della partecipazione di tali comuni sia dai consorzi che dalle convenzioni dalla data in cui entrano a far parte di tali unioni. E’ inoltre evidente che o tali comuni usciranno dalle unioni di cui fanno parte per aderire alle nuove ovvero le stesse si devono trasformare in modo da soddisfare i requisiti richiesti dal legislatore.
Altra peculiarità assai rilevante di queste unioni e che le differenzia in modo assai rilevante rispetto a quelle ordinarie è che esse sono istituite dalla regione entro la fine del 2012, sulla base della proposta avanzata dai consigli comunali entro i 6 mesi successivi alla entrata in vigore della legge di conversione. Le regioni deliberano anche nel caso in cui i comuni non hanno deliberato. I comuni hanno un termine imperativo di 6 mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione, cioè entro la metà del mese di marzo 2012, per assumere tale deliberazione. Il decorso di tale termine senza che i comuni abbiano assunto una specifica deliberazione priva i comuni del potere decisionale. Da sottolineare inoltre che le deliberazioni dei comuni devono essere adottate a maggioranza dei componenti, quindi è richiesta la maggioranza assoluta. Esse devono avere un “identico contenuto”. In tali casi la regione è vincolata a dare corso alla proposta avanzata dai comuni.
I consiglieri della unione devono essere eletti entro i 20 giorni successivi alla istituzione della unione da parte di tutti i consigli comunali. Nella fase precedente la elezione del presidente tale ruolo è svolto dal sindaco del comune aderente che ha la popolazione più elevata. Il legislatore fissa il termine di 30 giorni dalla costituzione per la elezione del presidente. E quello di 20 giorni per l’adozione dello statuto, il che deve avvenire a maggioranza assoluta.
LA GESTIONE
Viene disposto che spettano alle Unioni “la programmazione economico finanziaria e la gestione contabile di cui alla Parte II° del DLgs n. 267/2000”. Per cui i comuni aderenti a questo tipo di unioni, sia se inferiore che superiori a 1.000 abitanti, cessano di avere il proprio bilancio, che invece viene adottato e gestito unicamente dalla unione. I singoli consigli comunali partecipano al procedimento di sua adozione attraverso la deliberazione entro il 30 novembre di “un documento programmatico”. Tale documento si deve inserire all’interno “del piano generale di indirizzo” che deve essere varato dalla unione entro il 15 ottobre. Il provvedimento dispone che un regolamento del Governo da emanare entro i 6 mesi successivi alla entrata in vigore della legge di conversione, cioè entro la metà del mese di marzo 2012, disciplini il procedimento di formazione e variazione del bilancio e del documento programmatico, nonché “i poteri di vigilanza sulla sua attuazione” ed i rapporti amministrativo contabili tra i comuni aderenti e l’unione.
Alla unione passeranno per le funzioni trasferite tutti i dipendenti dei comuni aderenti e tutti i rapporti giuridici, con la precisazione che ciò riguarda solamente “le funzioni ed i servizi ad essa affidati”.
Da evidenziare che queste unioni saranno assoggettate ai vincoli dettati dal patto di stabilità a partire dall’anno 2014, mentre i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti lo saranno già dal 2013.
I PICCOLI COMUNI
Per i comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti ed inferiore a 5.000 viene fissato l’obbligo della gestione associata tramite unione o tramite convenzione di tutte le 6 funzioni fondamentali entro la fine del 2012 e di almeno 2 entro la fine del 2011. Ricordiamo che le funzioni fondamentali sono quelle individuate dalla legge n. 42/2009 fino a quando il codice delle autonomie non avrà disposto diversamente, e cioè: generali, di amministrazione e controllo per almeno il 70% della spesa corrente, governo del territorio e dell’ambiente, polizia locale, istruzione, servizi sociali e viabilità.
Le gestioni associate, salvo diversa decisione delle regioni, da assumere entro i 2 mesi successivi alla entrata in vigore del decreto, devono avere la soglia minima di 10.000 abitanti.
Sono quindi apportate alcune variazioni a quanto stabilito dal DL n. 78/2010 ed alle modifiche ad esso introdotte dal DL n. 98/2011. Ricordiamo che il primo prevedeva che le modalità di applicazione fossero dettate con uno specifico Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e che il secondo ha interamente attribuito al legislatore la disciplina della materia, fissando termini più lunghi (almeno 2 funzioni fondamentali entro il 2011, almeno 2 entro il 2012 e le restanti 2 entro il 2013) e stabilendo una soglia più bassa (5.000 abitanti o il quadruplo della popolazione del comune più piccolo aderente alla unione o alla convenzione). E’ evidente la volontà di rafforzare la pregnanza dei vincoli dettati. Si deve inoltre evidenziare che, sempre a differenza di quanto previsto dal DL n. 78/2010 e dal DL n. 98/2011, si stabilisce l’applicazione nelle regioni a statuto speciale in una fase successiva, cioè anche in questo caso con i tempi dettati dalle norme sul cd federalismo fiscale.