GLI INCARICHI DI COLLABORAZIONE
Di Arturo Bianco
Le norme di riferimento
– L’art. 110, comma 6, del TUEL, che recita: “Per obiettivi determinati e con convenzioni a termine, il regolamento può prevedere collaborazioni esterne ad alto contenuto di professionalità“.
– La disciplina essenziale è contenuta all’art. 7, comma 6, e segg. del D.Lgs. n. 165/2001:
“6. Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:
- a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell’amministrazione conferente;
- b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;
- c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata;
- d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.
Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione di natura occasionale o coordinata e continuativa per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell’arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, purché senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, ferma restando la necessità di accertare la maturata esperienza nel settore.
Il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. Il secondo periodo dell’articolo 1, comma 9, del decreto-legge 12 luglio 2004, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2004, n. 191, è soppresso. Si applicano le disposizioni previste dall’articolo 36, comma 3, del presente decreto.
6-bis. Le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione.
6-ter. I regolamenti di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si adeguano ai principi di cui al comma 6.
6-quater. Le disposizioni di cui ai commi 6, 6-bis e 6-ter non si applicano ai componenti degli organismi di controllo interno e dei nuclei di valutazione, nonché degli organismi operanti per le finalità di cui all’articolo 1, comma 5, della legge 17 maggio 1999, n. 144.”.
Occorre inoltre ricordare il vincolo di pubblicità di cui all’articolo 53 del DLgs n. 165/2001:
“13. Entro lo stesso termine di cui al comma 12 (nda il 30 giugno di ogni anno) le amministrazioni di appartenenza sono tenute a comunicare al Dipartimento della funzione pubblica, in via telematica o su apposito supporto magnetico, per ciascuno dei propri dipendenti e distintamente per ogni incarico conferito o autorizzato, i compensi, relativi all’anno precedente, da esse erogati o della cui erogazione abbiano avuto comunicazione dai soggetti di cui al comma 11 (nda le PA)”.
Sulla materia sono intervenute inoltre le seguenti disposizioni:
- la L. n. 266/2005 (Finanziaria 2006), che introduce un ruolo di controllo per i revisori dei conti e per le sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti, a cui vanno trasmessi gli atti di affidamento degli incarichi superiori a 5.000 euro;
- l’ art. 32 del D.L. n. 223/2006, convertito dalla L. n. 248/2006;
- la L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007), che consegna agli enti locali un generale obbligo di rispetto dei vincoli del patto di stabilità attraverso il meccanismo dei saldi finanziari, da perseguire anche attraverso la riduzione delle spese di personale, di cui fanno parte integrante quelle relative agli incarichi esterni;
- l’ art. 3 della Legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008);
- l’ art. 46 del D.L. 25 giugno 2008, n. 112;
- l’art. 22 della Legge 18 giugno 2009, n. 69, che ha in particolare riguardato il requisito della comprovata specializzazione universitaria;
- l’ art. 17 del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni nella L. n. 102/2009.
Le norme essenziali di riferimento
Vediamo adesso le disposizioni contenute nell’articolo 7, commi 6 e seguenti, del DLgs n. 165/2001, per come modificato dalla legislazione successiva, in particolare dal DL n. 112/2008, indicazioni che per alcuni aspetti sono stati rafforzati dalla legge n. 69/2009. In primo luogo, il conferimento di incarichi di collaborazione a soggetti esterni non deve essere utilizzato per dare risposta a bisogni permanenti e deve essere utilizzato solo per fare fronte ad elevate qualificazioni professionali.
Queste disposizioni si applicano a tutte le tipologie di incarichi di collaborazione, cioè studio, consulenza, ricerca o altro, ed a tutte le sue forme contrattuali, occasionale o coordinata e continuativa. Vediamo le esenzioni:
- non applicazione agli incarichi conferiti a soggetti giuridici, essendo chiaramente l’articolo destinato solo agli incarichi a persone fisiche;
- non applicazione agli incarichi che sono previsti nelle varie tabelle allegate al DLgs n. 163/2006, cd codice degli appalti. Ricordiamo che comunque le differenze tra le due discipline, in particolare per gli incarichi professionali al di sotto della soglia comunitaria, sono di scarso rilievo: tutte e due le disposizioni impongono il ricorso a procedure selettive di valutazione comparativa ed il rispetto dei vincoli pubblicitari. Ed infatti il Dipartimento della Funzione Pubblica suggerisce di estendere anche agli incarichi professionali al di sotto della soglia comunitaria le regole che le singole amministrazioni si devono dare nel regolamento previsto dall’articolo 7, commi 6 bis e ter, del DLgs n. 165/2001;
- non applicazione ai componenti i nuclei di valutazione e gli organismi di controllo interno, in considerazione del fatto che essi corrispondono comunque “a presupposti di legge quali il possesso di una competenza altamente qualificata, la corrispondenza alle attività istituzionali, la durata ed il contenuto dell’incarico predeterminati”. E’ questa una esclusione espressamente prevista dall’articolo 3 della legge finanziaria 2008. Essa non si deve intendere riferita ai vincoli di comunicazione;
- non si applicano neppure agli incarichi “meramente occasionali che si esauriscono in una sola azione o prestazione, caratterizzata da un rapporto intuitu personae”. Tali rapporti in genere comportano un compenso che è equiparabile ad un rimborso spese, con un ammontare complessivo ridotto, come la docenza nei corsi di formazione, la traduzione etc. Per queste attività non devono essere neppure soddisfatti i vincoli alla utilizzazione di procedure comparative e di pubblicità. Mentre per i progetti di ricerca ed innovazione, esclusi dai vincoli di spesa, non si applicano le esclusioni dagli obblighi di pubblicità e di uso di metodologie comparative nella scelta. Tale è l’interpretazione data dal Dipartimento della Funzione Pubblica nella sua circolare n. 2/2008.
Vediamo le norme contenute nell’articolo 7, comma 6, del DLgs n. 165/2001, una norma che, fatte salve le eccezioni prima richiamate, si applica a tutti gli incarichi di collaborazione, consulenza, studio e ricerca.
Tali requisiti sono diventati presupposti di legittimità, per cui il conferimento di incarichi a soggetti esterni, senza rispettare queste previsioni, li fa diventare illegittimi. Essi sono:
- accertamento della cd impossibilità soggettiva, cioè che la professionalità non esiste tra i dipendenti dell’ente, ovvero della impossibilità oggettiva, per cui la professionalità esiste ma per ragioni obiettive non può essere utilizzata. Questo accertamento deve essere fatto in modo rigoroso, non potendosi dare per acquisito sulla base di esami di mera routine. Esso deve essere effettuato in tutto l’ente e del suo esito occorre dare specifica menzione nel provvedimento. Tra le ragioni che possono essere poste a base della cd impossibilità oggettiva segnaliamo in particolare quella per cui si dimostra che la professionalità esiste, ma non ha per curriculum, esperienza o altro i requisiti per potere svolgere una attività così particolare quale quelle richiesta. Ovvero la dimostrazione, previa specifica attestazione, che non può essere distratta dalle sue attuali incombenze;
- necessità di compiere una attenta valutazione del rapporto tra costi e benefici, in modo da dimostrare inequivocabilmente che il conferimento dell’incarico è strettamente necessario e conveniente per l’ente;
- collegamento con un obiettivo, un programma o un progetto, il che crea una differenziazione rispetto alla attività ordinaria ed avvicina, per molti aspetti, questo istituto alle collaborazioni a progetto introdotte dalla legge cd Biagi per il settore privato;
- temporaneità dell’incarico: si deve sottolineare che non vi è una durata massima, per cui esso deve risultare dalle ragioni per le quali lo stesso è conferito. Ed ancora, la proroga non è impedita, ma è uno strumento eccezionale che deve essere adeguatamente motivato;
- elevata professionalità dell’incarico assegnato;
- indicazione del luogo, dell’oggetto, dell’orario e, soprattutto, del compenso. Per questo ultimo la giurisprudenza della Corte dei Conti ha più volte stabilito che si devono indicare le ragioni in base alle quali si arriva alla sua determinazione e che la stessa deve risultare congrua;
- il collaboratore di regola deve essere di regola in possesso del titolo di studio della laurea; se ne può prescindere motivatamente e previo accertamento dell’effettivo possesso dei requisiti di esperienza e professionalità, il che vale in particolare per gli iscritti ad albi o ordini professionali, per le attività nel campo della cultura e dello spettacolo o dei mestieri professionali;
- applicazione dei principi di pubblicità e selezione di tipo comparativa dettati nel regolamento;
Gli incarichi di cococo
Si raccomanda a tutte le amministrazioni ed a tutti i dirigenti di prestare la massima attenzione alle disposizioni contenute nel DL 112/2008 in tema di conferimento di incarichi di collaborazione coordinata e continuativa. In particolare i comuni devono prestare una particolare attenzione alle nuove disposizioni perché sono il livello istituzionale che utilizza questo strumento in misura maggiore, insieme alle università. E la gran parte delle forme di utilizzazione non è conforme alle previsioni dettate dal legislatore ed è foriera, perciò del rischio che possa determinarsi una forma di responsabilità amministrativa in capo al dirigente che ha sottoscritto il contratto. Ed inoltre, si deve segnalare che sta crescendo il numero dei contenziosi intentati dai cococo contro le Pubbliche Amministrazioni perché sia riconosciuta la natura di lavoro subordinato delle attività da essi svolte. Crescita a cui, molto probabilmente, non sono estranee le limitazioni esistenti per la stabilizzazione di tali lavoratori.
Sicuramente le nuove regole dettate per i cococo costituiscono la novità di maggiore rilievo contenuta nelle disposizioni dettate dal DL 112/2008 in tema di incarichi di collaborazione e consulenza. Le nuove regole danno una risposta definitiva all’aspro contenzioso interpretativo che ha opposto negli ultimi anni e, soprattutto, negli ultimi mesi il Dipartimento della Funzione Pubblica ed alcune sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti, segnatamente quelle della Toscana e della Lombardia. Contrasto che ha portato nei primi mesi del 2008 il ministro pro tempore per la Funzione Pubblica, Luigi Nicolais, a prendere carta e penna ed investire della querelle il presidente della Corte dei Conti. Il legislatore ha sostanzialmente accolto in modo pressoché integrale, la tesi più rigida, quella sostenuta dal Dipartimento della Funzione Pubblica. Ricordiamo che al centro del contrasto vi erano le disposizioni introdotte dal DL 223/2006, ed in particolare la possibilità di potere continuare ad utilizzare lo strumento degli incarichi di cococo anche per lo svolgimento di funzioni ordinarie, possibilità considerata preclusa dal Dipartimento della Funzione Pubblica ed invece accolta, in forme più o meno ampie, da pareri resi dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei Conti della Lombardia e della Toscana.
La disciplina degli incarichi di collaborazione è dettata nell’articolo 7, commi 6 e seguenti, del DLgs n. 165/2001. Questa costituisce una delle disposizioni di legge interessate dal numero più elevato di modifiche da parte del legislatore negli ultimi anni: basta ricordare che solo nel 2008 abbiamo avuto due riscritture, contenute nella legge finanziaria e nel DL 112/2008, e ulteriori ritocchi sono contenute nella legge n. 69/2009, anche se per la verità queste ultime disposizioni hanno un rilievo innovativo alquanto limitato, ed anche –sempre in misura ridotta- nel DL n. 78/2009.
Il primo elemento da sottolineare è che quanto stabilito dall’articolo 7, comma 6, del DLgs n. 165/2001 si applica tanto agli incarichi di collaborazione occasionali che a quelli di collaborazione coordinata e continuativa. In tal modo si deve considerare fortemente attenuata la differenza tra questi istituti, che non ha quindi una natura ontologica, ma è collegata pressoché esclusivamente alla quantità e qualità dell’impegno richiesto. Ricordiamo su questo punto, riprendendolo dalle indicazioni contenute nella circolare della Funzione Pubblica n. 4 del luglio 2004, che un criterio operativo per la distinzione tra incarichi di collaborazione occasionale e di cococo può essere ripreso dalle regole dettate dal DLgs n. 276/2003, cd legge Biagi, per la distinzione tra incarichi a progetto ed altri incarichi. In pratica, il superamento della soglia di 5000 euro e/o l’impegno superiore a 30 giorni nell’arco di 1 anno come soglia di differenziazione, fermo restando che la iscrizione in una albo professionale o il fatto di essere pensionato costituisce condizione perché l’incarico non sia considerato di cococo. Più in generale, si hanno collaborazioni occasionali in caso di “prestazione episodica” che viene svolta “in maniera saltuaria ed autonoma” e con “un contatto sociale con il committente sporadico”. Essa deve necessariamente “essere riconducibile a fasi di piani o programmi del committente”. Invece abbiamo una collaborazione coordinata e continuativa, istituto che è oggi applicabile solo alle Pubbliche Amministrazioni, nel caso di “continuazione della prestazione e di coordinazione con l’organizzazione ed i fini del committente”, che non esercita poteri di direzione, ma di verifica “attraverso il potere di coordinamento spazio temporale”. Siamo comunque nell’ambito di una forma di lavoro autonomo. In concreto le differenze tra i due istituti sono rilevanti ai fini previdenziali, fiscali e degli adempimenti delle amministrazioni. I cococo sono tenuti alla iscrizione nella gestione separata Inps ed ai loro compensi si applicano le ritenute previdenziali nella misura fissata dalla legge finanziaria 2008, che ricordiamo stabilisce ulteriori aumenti delle aliquote contributive a decorrere dall’anno 2009. Le collaborazioni occasionali sono escluse da tali vincoli, salvo che esse diano un reddito annuo superiore a 5.000 euro, nel qual caso si deve dare luogo ad un versamento contributivo per la parte eccedente a carico del committente, salvo che per 1/3 posto a carico del collaboratore.
In base a questa assimilazione, è evidente che anche il conferimento di incarichi di collaborazione coordinata e continuativa deve soddisfare tutti i requisiti che sono previsti dalla normativa come condizione, oggi addirittura di legittimità, per il conferimento di incarichi a soggetti esterni. Ricordiamo, in modo particolare, il verificarsi della impossibilità soggettiva e/o della impossibilità oggettiva come cause che giustificano il ricorso a questo strumento, la necessità di effettuare una valutazione del rapporto tra costi e benefici, lo stretto collegamento che deve sussistere con un progetto, un programma e/o un obiettivo, la predeterminazione della durata, del luogo, delle modalità e del compenso, da intendere soprattutto come definizione dei parametri per la determinazione della misura.
Vediamo i due elementi di novità introdotti dal DL 112/2008: in primo luogo viene fissato il principio per cui la utilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi per lo svolgimento di funzioni ordinarie è fonte di responsabilità amministrativa ed in secondo luogo si stabilisce che lo svolgimento di tali incarichi con modalità analoghe a quelle tipiche del lavoro subordinato determina l’insorgere di responsabilità amministrativa in capo al dirigente che ha stipulato il contratto. Ed ancora il nuovo testo dell’articolo 7, comma 6, del DLgs n. 165/2001 abroga la possibilità prevista dal DL 168/2004 di utilizzare in casi eccezionali e limitati i cococo per lo svolgimento di funzioni ordinarie.
Sulla base del primo vincolo è chiaro che ogni incarico di cococo non deve avere un contenuto generico e non deve essere riferito ai normali compiti di istituto. Per fare alcuni esempi concreti: non si può ricorrere a questo strumento per gli autisti di scuolabus, né per l’assistente sociale adibita a svolgere le incombenze tipiche della analoga figura dipendente dell’ente, né per sostituire un dipendente assente. Occorre che vi sia un netto distacco rispetto alle normali attività di istituto, il che si può realizzare solo assegnando dei compiti ben specifici e curando che gli stessi abbiano un carattere aggiuntivo rispetto a quelli tipici ed ordinari. Ricordiamo che la stessa disposizione richiede il rispetto del requisito della elevata professionalità della prestazione resa.
La seconda novità è costituita dal divieto di utilizzare il collaboratore coordinato e continuativo con le modalità tipiche del lavoro subordinato. Su questo punto si deve ricordare che la giurisprudenza del lavoro, ma anche quella amministrativa più recente, ovviamente per i casi residui ancora al suo esame, essendo la competenza a giudicare su questa materia stata attribuita al giudice ordinario a decorrere dallo 1.7.1998 (da ultimo si ricorda la sentenza della quinta sezione del Consiglio di Stato, n. 4429 del 17 settembre dell’anno 2008), ha stabilito la prevalenza delle condizioni di fatto rispetto a quelle formali. Cioè, nel caso in cui un incarico sia formalmente di collaborazione coordinata e continuativa, ma in termini sostanziali i suoi tratti prevalenti siano di lavoro subordinato, deve essere considerato tale. Per cui il valore della clausola di rito apposta in molti contratti di cococo per cui si esclude comunque la natura subordinata del rapporto è da ritenere pressoché priva di effetti concreti. Su questo punto la giurisprudenza ci dice, in modo consolidato, che non è sufficiente un unico elemento tipico del rapporto di dipendenza, come ad esempio l’essere sottoposti all’orario di lavoro rigidamente definito dalla amministrazione ed al controllo della sua osservanza, per mutare la natura. Ma una pluralità di elementi, soprattutto se essi hanno una rilevanza predominante, determinano il cambiamento della qualificazione del rapporto. L’elemento essenziale di differenziazione è dato dal vincolo di subordinazione gerarchica, vincolo che è presente nel lavoro subordinato, e dalla ampia autonomia invece riconosciuta a tutte le forme di lavoro autonomo, che sono vincolate essenzialmente al raggiungimento degli obiettivi. E gli incarichi di cococo, anche se in forma più tutelata per il collaboratore, sono comunque delle forme di lavoro autonomo. Tornando all’esempio dell’orario la differenza è che il lavoratore subordinato, che mette a disposizione del datore di lavoro la sua prestazione, è tenuto a rispettare il vincolo orario dallo stesso dettato. Il cococo, al massimo, può avere assegnato un debito orario nel contratto ed alcune modalità di effettuazione (ad esempio presenza presso l’ente in un dato arco di tempo, anche al fine di coordinarsi con il referente dell’ente), ma le modalità con le quali rispettare il debito complessivo sono scelte dal collaboratore.
Ricordiamo che in presenza di un contenzioso avviato dal collaboratore contro l’ente per il riconoscimento come lavoro subordinato della sua attività, l’amministrazione può essere condannata unicamente a considerare quel periodo come lavoro subordinato; nel pubblico impiego non è possibile irrogare la sanzione della assunzione a tempo indeterminato, che invece si applica nelle aziende private. Se il giudice riconosca la fondatezza della richiesta del collaboratore, e l’accertamento del giudice è essenzialmente basata sui dati di fatto, l’ente sarà condannato al pagamento della differenza di trattamento economico tra quanto percepito come cococo e quanto spettante come lavoratore subordinato (con la relativa rivalutazione e gli interessi) ed al versamento degli oneri previdenziali dovuti per i dipendenti, con le sanzioni e gli interessi: peraltro quest’ultima conseguenza ha la natura di un diritto indisponibile, cioè il lavoratore non può autonomamente o in sede di transazione rinunciarvi.
Sulla base delle vecchie regole in capo al dirigente che con la sua condotta dolosa o gravemente colposa aveva determinato il danno all’ente, sarebbero stati posti gli oneri aggiuntivi da versare come sanzioni, rivalutazioni ed interessi; sulla base delle nuove regole, si corre il rischio che tutti gli oneri debbano essere pagati da parte del dirigente che ha stipulato il contratto di collaborazione coordinata e continuativa.
Le nuove regole impongono la assoluta necessità, vista la gravità delle sanzioni irrogate in caso di inosservanza in capo al dirigente che ha sottoscritto il contratto, in pratica può essere chiamato a sostenere direttamente gli oneri sopportati dall’ ente, che ogni Pubblica Amministrazione sia particolarmente attenta ad applicare le norme e non a cercare il modo di eluderle o aggirarle. Anche se possono nascere problemi, soprattutto nella fase di prima applicazione: ma il conferimento di incarichi di collaborazione coordinata e continuativa non è la scorciatoia per risolverli; anzi rischia di essere una sorta di vicolo cieco. E’ opportuno che le amministrazioni utilizzino gli altri strumenti messi loro a disposizione dalla normativa. E cioè in primo luogo le assunzioni flessibili, a tempo determinato o i contratti di somministrazione, che sono sulla base del dettato del DL 112/2008 subordinate solo alla presenza di ragioni temporanee ed eccezionali e non sono più sottoposte ai rigidi vincoli dettati dalla legge finanziaria 2008 (cioè la durata trimestrale o stagionale, la possibilità di sostituzione del personale assente per maternità solo negli enti locali, la utilizzazione per gli uffici di staff degli organi politici e per gli incarichi dirigenziali ai sensi dell’articolo 110 del Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali etc). Ovvero che scelgano la strada della esternalizzazione della gestione di alcuni servizi ovvero la realizzazione di forme di gestione associata.
Tutti gli enti locali, prima del conferimento degli incarichi di cococo o, quantomeno contestualmente alla adozione dell’atto con cui l’ente ne programma la utilizzazione, devono darsi un progetto, un programma o un obiettivo. Le attività assegnate ai collaboratori coordinati e continuativi devono aggiungersi rispetto ai normali compiti di istituto e devono avere un inizio ed una fine. Tornando agli esempi precedenti, la utilizzazione della assistente sociale a cui è stato conferito un incarico di cococo, se avviene nell’ambito di un progetto finanziato dalla regione o da altro ente per la attivazione di un nuovo servizio e/o di una attività di studio o di ricerca, è da considerare legittimo perchè soddisfa il requisito del collegamento ad una attività ulteriore rispetto a quelle normali.
Ricordiamo infine che, sulla base delle prescrizioni dettate dal DL 112, la spesa per i collaboratori coordinati e continuativi deve essere calcolata nella spesa per il personale. Tale disposizione si applica unicamente al fine di garantire il rispetto del tetto a questa voce di spesa, tetto che per gli enti soggetti al patto è fissato nella misura della analoga voce nell’anno precedente e per gli enti non soggetti al patto è fissata nella misura della analoga spesa del 2004. Per concludere, gli enti che non hanno rispettato il patto di stabilità nell’anno precedente non possono disporre, oltre che assunzioni di personale, neppure la utilizzazione dello istituto delle collaborazioni coordinate e continuative. E’ evidente la volontà legislativa di evitare forme di aggiramento del divieto.
Occorre che le Pubbliche Amministrazioni accertino il possesso del titolo di studio della laurea, condizione che è richiesta necessariamente al collaboratore. Sono previste alcune eccezioni da parte dello stesso legislatore, esclusioni che hanno un carattere tassativo:
1) attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi;
2) attività svolte con soggetti che operano nel campo dell’arte, dello spettacolo o dei mestieri artigianali;
3) attività svolte da soggetti che svolgono attività informatiche;
4) attività svolte a supporto di quella didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione dei contratti di lavoro di cui al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.
I vincoli ulteriori
Un primo vincolo procedurale, ulteriore a quelli posti dal comma 6 e segg. dell’art. 7, è previsto dall’art. 3, comma 55, della Legge n. 244/2007 – nel testo sostituito dall’art. 46, comma 2, del D.L. n. 112/2008 convertito – secondo cui gli enti locali possono stipulare contratti di collaborazione autonoma, indipendentemente dall’oggetto della prestazione, solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’art. 42, comma 2, del TUEL.
Il secondo vincolo è al successivo comma 56, che rinvia al regolamento di cui all’art. 89 del TUEL la fissazione dei limiti, criteri e modalità per l’affidamento degli incarichi, rilevando come illecito disciplinare e fonte di responsabilità erariale la violazione delle disposizioni regolamentari stesse. A fronte del limite, la versione aggiornata del comma 56 ha reso maggiormente flessibile il computo della spesa relativa agli incarichi in questione rispetto alla vecchia previsione della Finanziaria 2008, spostandolo dalla fonte regolamentare a quella più appropriata del bilancio preventivo, nel quale deve obbligatoriamente risultare il “limite massimo della spesa annua per incarichi di collaborazione”.
Ulteriore vincolo – e connesso obbligo – viene contemplato al successivo comma 57, secondo cui le disposizioni regolamentari di cui al comma 56 sono trasmesse, per estratto, alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti entro trenta giorni dalla loro adozione. Vale sul punto la circolare della Funzione Pubblica n. 2 dell’11.3.2008 secondo cui resta fermo anche per gli enti locali l’obbligo di trasmissione alla competente sezione della Corte degli atti relativi alle collaborazioni esterne di importo superiore ai 5.000 euro previsto dal comma 173 dell’art. 1 della legge n. 266/2005.
Il contenuto dei contratti di collaborazione
L’esito dell’incarico è formalizzato attraverso un disciplinare di incarico, stipulato tra dirigente e soggetto individuato tramite la selezione, nel quale sono specificati gli obblighi per quest’ultimo. In base alla legge e ai criteri affermati dalla giurisprudenza, il disciplinare di incarico, stipulato in forma scritta, in genere contiene i seguenti elementi:
- le generalità del contraente;
- la precisazione della natura della collaborazione di lavoro autonomo ovvero occasionale o coordinata e continuativa;
- il termine di esecuzione della prestazione e/o di durata dell’incarico;
- il luogo in cui viene svolta la collaborazione;
- l’oggetto della prestazione professionale, secondo le indicazioni del programma o progetto che viene allegato al contratto;
- le modalità specifiche di esecuzione e di adempimento delle prestazioni e delle eventuali verifiche;
- l’ammontare del compenso per la collaborazione e gli eventuali rimborsi spese nonché le modalità per la relativa liquidazione;
- le modalità di pagamento del corrispettivo;
- l’accettazione delle disposizioni del regolamento;
- la determinazione delle penali pecuniarie e le modalità della loro applicazione;
- la definizione dei casi di risoluzione contrattuale per inadempimento;
- il foro competente in caso di controversie;
- il vincolo di pubblicità preventiva dell’incarico, come condizione di efficacia del contratto.
Le verifiche
È opportuno che lo strumento contrattuale preveda clausole di verifica dell’esecuzione e del buon esito dell’incarico, riconoscendo al dirigente un potere di controllo mediante riscontro delle attività svolte dall’incaricato e dei risultati ottenuti. Può essere inoltre previsto che qualora i risultati delle prestazioni fornite risultino non conformi a quanto richiesto sulla base del disciplinare di incarico ovvero siano del tutto insoddisfacenti, il dirigente possa richiedergli di integrare i risultati entro un termine stabilito, ovvero risolvere il contratto per inadempienza.
La pubblicità
Il comma 18 dell’art. 3 della Legge n. 244/2007 dispone che i contratti relativi a rapporti di consulenza “sono efficaci a decorrere dalla data di pubblicazione del nominativo del consulente, dell’oggetto dell’incarico e del relativo compenso sul sito istituzionale dell’amministrazione stipulante”. Il successivo comma 54 pone l’obbligo alle singole amministrazioni di “pubblicare sul proprio sito web i relativi provvedimenti completi di indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato. In caso di omessa pubblicazione, la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o consulenza di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale del dirigente preposto”.
In base alle modifiche apportate, le p.a. non devono limitarsi alla pubblicazione (in forma libera) degli elenchi, ma devono rendere di pubblico dominio sul sito i singoli provvedimenti con cui hanno affidato gli incarichi, con l’indicazione dei soggetti beneficiari dei pagamenti, degli importi erogati e della ragione dell’affidamento dell’incarico.
La portata innovativa del comma 54 è almeno duplice:
- introduce l’obbligo di pubblicare non solo i dati relativi alle consulenze, ma anche i provvedimenti con i quali sono conferiti gli incarichi, con l’indicazione anche delle ragioni dell’incarico stesso;
- combinata col comma 18, la pubblicazione sul sito web non ha solo funzione notiziale e conoscitiva, bensì acquisisce effetto costitutivo, nel senso che dalla pubblicazione medesima acquisiscono efficacia i provvedimenti di conferimento degli incarichi; condizione la cui mancanza crea i presupposti per il riconoscimento di responsabilità dirigenziali.
Occorre infine tenere a mente che rimane in vigore la norma introdotta dal D.L. n. 223/2006 che, modificando l’ art. 53, D.Lgs. n. 165/2001, prevede che le p.a. rendano noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, gli elenchi dei propri consulenti indicando l’oggetto, la durata e il compenso dell’incarico. Né viene innovata la disposizione relativa alla trasmissione di detti elenchi al Dipartimento della Funzione Pubblica.
Le regole per la pubblicizzazione degli incarichi sono rimesse al regolamento, il quale deve in particolare prevedere che l’amministrazione rende noti tutti gli incarichi conferiti mediante formazione e pubblicizzazione, sul proprio sito istituzionale e con aggiornamento tempestivo, degli elenchi dei soggetti esterni di cui si avvale. Gli elenchi, messi a disposizione per via telematica, contengono per ogni incarico i riferimenti identificativi del collaboratore esterno cui lo stesso incarico è stato incarico, l’oggetto, la durata e il compenso. Deve inoltre disciplinare la distinta pubblicazione dei testi dei contratti con i quali vengono affidati gli incarichi ai collaborazioni esterni.
Attenzione infine al vincolo della comunicazione alla Funzione Pubblica, con cadenza annuale, dell’elenco degli incarichi conferiti
I controlli
L’art. 3, comma 57, della Legge n. 244/2007 pone l’obbligo di trasmissione in estratto alla sezione regionale di controllo della Corte dei Conti delle disposizioni regolamentari di cui al comma 56, entro trenta giorni dalla loro adozione. Resta altresì l’obbligo di trasmissione alla sezione, per il controllo successivo sulla gestione, degli atti relativi alle collaborazioni esterne di importo superiore ai 5.000 euro previsto dal comma 173 dell’art. 1 della Legge n. 266/2005 (Finanziaria 2006), così come indicato dalla Corte dei Conti, sezione delle autonomie, con deliberazione n. 4 del 17 febbraio 2006.
La legge n. 266/2005 non ha abrogato implicitamente le disposizioni della Legge n. 311/2004 concernenti la valutazione dell’organo interno di revisione, adempimento che riguarda il singolo atto di spesa e che assolve a finalità nettamente distinte da quelle affidate al controllo sulla gestione di pertinenza della magistratura contabile. Il fatto che la Legge n. 244/2007 e il D.L. n. 112/2008 abbiano introdotto ulteriori innovazioni in materia di affidamento di incarichi di collaborazione autonoma, proprio allo scopo di proseguire il percorso legislativo di contenimento della spesa e di limitazione del ricorso all’affidamento di incarichi esterni, avvalora la tesi favorevole a considerare tuttora necessario ed obbligatorio l’intervento del revisore contabile quale titolare di funzioni di controllo interno all’ente e di raccordo con gli organi di controllo esterno.
C’è inoltre da considerare che l’art. 17, comma 30, del D.L. n. 78/2009 convertito ha inserito la lett. f-bis) all’art. 3 della Legge n. 20/1994, rinviando al controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti anche gli “atti e contratti di cui all’articolo 7, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”. Detta previsione ha scatenato una ridda di interpretazioni circa l’applicabilità agli enti territoriali, ma considerato che la modifica è stata introdotta direttamente nel corpo della legge che disciplina la materia della giurisdizione e del controllo della Corte dei Conti, una prima lettura condivisa è stata quella secondo cui il controllo fosse limitato alle sole amministrazioni statali, centrali e periferiche.
Lettura patrocinata dalla Funzione Pubblica, basata sul presupposto che da un lato una competenza statale in materia di controlli preventivi di legittimità sugli enti locali sarebbe incompatibile con la Costituzione, dall’altro l’emanazione della norma non è stata né preceduta né accompagnata da consultazioni con le Regioni. Di avviso contrario la magistratura contabile che, affidandosi a una lettura “economicistica” della novella, ha sostenuto che una siffatta interpretazione avrebbe vanificato l’intenzione del legislatore di intervenire su una vasta platea di soggetti in modo da conseguire contenimenti di spesa.
La questione è stata risolta dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 172 del 13 maggio 2010, che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale delle norme proprio in quanto le ipotesi di soggezione al controllo preventivo di legittimità concernono esclusivamente provvedimenti adottati dallo Stato o, comunque, da amministrazioni centrali, e dunque non sono applicabili alle Regioni e agli enti locali. Con l’inserimento delle nuove disposizioni nell’ art. 3 della Legge n. 20/1994, sostiene la sentenza, non è stato modificato l’ambito soggettivo delle amministrazioni i cui atti sono sottoposti a controllo e inoltre le previsioni aggiuntive costituiscono un’ulteriore articolazione della lett. f), la quale si riferisce ad atti delle sole amministrazioni dello Stato.
Le responsabilità
Le disposizioni ora condensate nell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001 rappresentano per la massima parte la codificazione di criteri più e più volte sanciti dalla giurisprudenza soprattutto della Corte dei Conti, che nel corso del tempo ha sacralizzato alcuni principi guida in base ai quali il ricorso a professionalità esterne è possibile solo alle seguenti condizioni:
- rispondenza dell’incarico agli obiettivi dell’amministrazione conferente;
- impossibilità di ricorrere a professionalità interne idonee allo svolgimento della prestazione oggetto dell’incarico, da verificare attraverso una reale ricognizione;
- specifica indicazione delle modalità e dei criteri di svolgimento dell’incarico;
- temporaneità dell’incarico;
- proporzione tra compensi erogati e utilità conseguite dall’amministrazione.
La regola cardine posta a base è quella secondo cui ogni ente pubblico deve provvedere ai suoi compiti con la propria organizzazione e il proprio personale. La possibilità di far ricorso a personale esterno può essere ammessa nei limiti e alle condizioni in cui la legge lo preveda ovvero quando sia impossibile provvedere altrimenti ad esigenze eccezionali e impreviste. L’oggettiva impossibilità di far fronte all’incarico col personale in servizio deve dunque rilevarsi in base a parametri oggettivi rigorosamente motivati, anche in base alle determinazioni dirigenziali di ripartizione tra il personale delle competenze connesse all’attività d’ufficio.
L’altra regola è identificata nella eccezionalità e temporaneità delle prestazioni che costituiscono l’oggetto dell’incarico.
Per rendere maggiormente effettive queste limitazioni, il legislatore ha introdotto al comma 6 dell’art. 7 una clausola di responsabilità dirigenziale, che in particolare sanziona il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie ovvero l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati; entrambi sono “causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti”.
L’ultimo periodo rinvia inoltre all’art. 36, comma 3, del D.Lgs. n. 165/2001, sostituito dall’art. 17, comma 26, lett. b), del D.L. n. 78/2009 convertito, che ha la finalità di combattere gli abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile: entro il 31 dicembre di ogni anno, sulla base di apposite istruzioni fornite con Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, le singole amministrazioni devono redigere un analitico rapporto informativo sulle tipologie di lavoro flessibile utilizzate da trasmettere, entro il 31 gennaio di ciascun anno, agli Organismi Interni di Valutazione nonché al Dipartimento della Funzione Pubblica, che redige una relazione annuale al Parlamento. Al dirigente responsabile di irregolarità nell’utilizzo del lavoro flessibile non può essere erogata la retribuzione di risultato.
In buona sostanza, ci si trovi dinanzi ad un prisma di responsabilità del dirigente che conferisce l’incarico in violazione delle norme, distinguibile come segue:
- responsabilità disciplinare, in quanto il conferimento dell’incarico costituisce atto di gestione tipico del dirigente datore di lavoro;
- responsabilità civile ex art. 2126 c.c. qualora l’incarico di collaborazione si traduca nella sostanza in un rapporto di lavoro subordinato;
- responsabilità derivante da danno erariale, anche se l’amministrazione si sia giovata della prestazione lavorativa, in quanto questa, per mano del dirigente, ha comunque posto in essere un comportamento e degli atti illegittimi; in questo senso esistono numerosissime sentenze della Corte dei Conti, che hanno sanzionato con la colpa grave dirigenti e amministratori che hanno attribuito incarichi esterni in assenza o in elusione dei presupposti previsti dalla legge;
- responsabilità gestionale, richiamata alla fine del comma 6 dell’art. 36 sopra citato, che opera anche in caso di utilizzo illegittimo dei contratti di collaborazione quando questi ultimi siano stati stipulati in luogo dei contratti di lavoro subordinato a tempo determinato con l’intento di eludere i limiti imposti dal medesimo articolo.
È infine opportuno ricordare che la legge contempla una ulteriore causa di illecito disciplinare e responsabilità erariale del dirigente preposto, quando al comma 18 dell’art. 3 della Legge n. 244/2007 subordina l’efficacia dei contratti di consulenza alla pubblicazione del nominativo del consulente, dell’oggetto dell’incarico e del relativo compenso sul sito istituzionale dell’amministrazione stipulante. Il successivo comma 54 pone inoltre l’obbligo di pubblicare i relativi provvedimenti completi di indicazione dei soggetti percettori, della ragione dell’incarico e dell’ammontare erogato. In caso di omessa pubblicazione, la liquidazione del corrispettivo per gli incarichi di collaborazione o consulenza costituisce appunto illecito disciplinare e determina responsabilità erariale del dirigente preposto.