IL RIMBORSO DELLE SPESE LEGALI AL PERSONALE

La sentenza della quarta sezione del Consiglio di Stato n. 1190 del 26 febbraio 2013 ed il parere della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti dell’Abruzzo n. 13 del 2013 ci offrono ulteriori importanti indicazioni sul rimborso delle spese legali al personale dipendente delle PA. La sentenza dei giudici amministrativi di appello si incentra sulla necessità di una stretta connessione tra il procedimento e lo svolgimento di compiti di ufficio. Il parere dei giudici contabili abruzzesi ha al proprio centro il diritto al rimborso nel caso di provvedimento di archiviazione e di estensione al personale non apicale.

Riassumiamo, con una collocazione temporale, le più importanti indicazioni offerte dalla giurisprudenza amministrativa, contabile e del lavoro, nonché dai pareri della Corte dei Conti.

Le indicazioni del 2013

Per la sentenza n. 1190 del Consiglio di Stato “la connessione dei fatti con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali va intesa nel senso che tali atti e fatti siano riconducibili all’attività funzionale del dipendente stesso in un rapporto di stretta dipendenza con l’adempimento dei propri obblighi, dovendo trattarsi di attività che necessariamente si ricollegano all’esercizio diligente della pubblica funzione, nonché occorre che vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere e il compimento dell’atto, nel senso che il dipendente non avrebbe assolto ai suoi compiti se non compiendo quel fatto o quell’atto. Nella specie, esaminando gli atti, interrogatori e testimonianze rese nel corso del giudizio, il fatto imputato di abuso della qualità o di concussione esulava del tutto dal servizio pubblico e aveva ad oggetto fatti privati posti in essere dall’appellante. La vicenda riguarda l’acquisto, a titolo del tutto personale – e tale circostanza assume valore assorbente – di telefoni cellulari in cui è stato contestato l’abuso della qualità di pubblico ufficiale.. L’amministrazione ha correttamente negato il rimborso sulla base del parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, secondo cui sebbene l’imputazione di concussione presupponga uno stato giuridico di pubblico ufficiale, non si ravvisa nella specie alcuna connessione fra i fatti che hanno dato origine al procedimento penale e l’espletamento del servizio o l’assolvimento degli obblighi istituzionali. Ai fini del rimborso delle spese legali sostenute da un pubblico dipendente, affinché sia ravvisabile una connessione tra la condotta tenuta e l’attività di servizio del dipendente, è necessario che la suddetta attività sia tale da poterne imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente alla Amministrazione di appartenenza, poiché il beneficio del ristoro delle spese legali richiede un rapporto causale con una modalità di svolgimento di una corretta prestazione lavorativa le cui conseguenze ricadrebbero sull’Amministrazione nè è sufficiente che l’evento avvenga durante e in occasione della prestazione (tra tante, Consiglio Stato sez. III, 1 marzo 2010, n. 275). La mera connessione occasionale delle condotte con la qualifica di pubblico ufficiale non è, quindi, sufficiente ai fini dell’ammissibilità del rimborso delle spese legali, altrimenti dovendo farsi rientrare nel campo applicativo della norma tutte le imputazioni relative ai reati propri inerenti a condotte che trovino nel servizio la mera occasione di realizzazione…

Il giudizio di responsabilità si considera promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali solo nei casi in cui l’imputazione riguardi un’attività svolta in diretta connessione con i fini funzionali dell’ente e, come tale, ad esso imputabile. La possibilità del rimborso delle spese legali è da escludersi qualora vi sia conflitto di interessi tra dipendente ed amministrazione, emergendo o comunque potendo emergere estremi di natura disciplinare ed amministrativa, per mancanze attinenti al compimento dei doveri d’ufficio”.

Il parere della sezione regionale di controllo della Corte Conti dell’Abruzzo n. 13 ha chiarito che “la Corte di Cassazione, proprio con riferimento all’ipotesi di archiviazione del procedimento penale nei confronti di un dipendente di una pubblica amministrazione ha superato la (restrittiva) interpretazione pregressa, secondo cui il diritto al rimborso delle spese legali sarebbe dovuto esclusivamente a fronte di una pronuncia nel merito. Il provvedimento di archiviazione adottato dal GUP, in quanto inidoneo a costituire giudicato, non sostanzierebbe un accertamento definitivo in merito all’assenza di responsabilità del dipendente. La Cassazione ha precisato che “il diritto del dipendente al rimborso delle spese legali presuppone l’assenza di un conflitto di interesse con l’Amministrazione, che deve essere accertata in base ad una valutazione complessiva fondata sul provvedimento giudiziario con cui si è concluso il giudizio promosso nei confronti del dipendente, al fine di stabilire se con esso sia stato escluso ogni profilo di responsabilità del dipendente” (Cassazione Sez. Lavoro, sentenza 19 novembre 2007, n. 23904). In virtù di siffatta ricostruzione, costituisce compito dell’Amministrazione verificare, caso per caso, l’esistenza dei presupposti sopra enunciati per riconoscere il rimborso delle spese legali ai dipendenti la cui posizione sia stata archiviata in sede penale”.

Il parere risponde poi alla domanda sulla possibilità del rimborso in favore di dipendenti non apicali: “la circostanza che i dipendenti non assumano una funzione apicale, talché la condotta dei medesimi si sarebbe limitata – come specificato dall’Amministrazione – a relazionare sull’istanza ed a sottoporla alla valutazione del superiore gerarchico il quale emana il provvedimento finale”, sottende l’assenza di qualsiasi apporto volitivo rispetto all’adozione dell’atto ritenuto illegittimo da parte del Giudice dell’Udienza Preliminare”. Dal che se ne può trarre la conseguenza, a parere di chi scrive, della possibilità per l’ente di rimborsare le spese legali anche a questi soggetti.
Il parere infine offre una utile indicazione procedurale: “in ogni caso resta fermo che qualora l’Amministrazione intenda riconoscere il rimborso delle spese legali ciò dovrebbe essere circoscritto entro il limite di quanto strettamente necessario e previo parere della competente avvocatura”.

 

Le indicazioni del 2012

Nell’anno 2012 vi sono state una serie di importanti indicazioni: i pareri della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti del Veneto n. 245 del 5 aprile e n. 184 del 12 marzo, le sentenze del Tar della Sicilia, sede di Palermo, n. 695, e del Tar Puglia, sede di Lecce, n. 940, nonché la sentenza della Corte dei Conti della Basilicata n. 196.

I pareri della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti del Veneto n. 245 del 5 aprile e n. 184 del 12 marzo hanno, in primo luogo, chiarito che “l’assunzione a carico dell’ente dell’onere relativo all’assistenza legale del dipendente non sia automatico, ma resti subordinato al verificarsi di una serie di presupposti e di valutazioni cui l’ente è tenuto anche ai fini di una trasparente, efficace ed economica gestione delle risorse pubbliche. Tali presupposti concernono:

  • l’esistenza di esigenze di tutela di interessi e di diritti facenti capo all’ente pubblico;
  • l’assenza di dolo e colpa grave in capo al dipendente sottoposto a giudizio;
  • la stretta inerenza del procedimento giudiziario a fatti verificatisi nell’esercizio ed a causa della funzione esercitata o dell’ufficio rivestito dal dipendente pubblico, riconducibili quindi al rapporto di servizio e perciò imputabili direttamente all’ amministrazione nell’esercizio della sua attività istituzionale;
  • l’assenza di un conflitto di interesse tra il dipendente e l’ente di appartenenza che permette di procedere ad una nomina del difensore legale di comune accordo tra le parti;
  • in caso di proscioglimento, con formule diverse da quelle escludenti la materialità dei fatti (il fatto non sussiste, l’imputato non lo ha commesso) la non sussistenza, in concreto, di un conflitto di interessi con l’ente”.

La sentenza di non luogo a procedere, ci dice il parere dei giudici contabili del Veneto, ha “natura prevalentemente processuale e non di merito, non essendo diretta ad accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato, ma avendo essenzialmente lo scopo di evitare che giungano alla fase del giudizio vicende in relazione alle quali emerga l’evidente infondatezza dell’accusa… Tuttavia, non manca anche chi riconosce, nell’istituto in argomento, un inestricabile intreccio tra profili di rito e profili di merito, posto che il giudice dell’udienza preliminare, nel suo accertamento, deve necessariamente procedere ad una valutazione di merito per compiere un accertamento di natura processuale. Questa incursione nel merito intaccherebbe la natura tipicamente processuale della pronunzia, connotandola in maniera singolare”. Per cui, “la circostanza che sia stata emessa una sentenza di non luogo a procedere, nonostante la sua natura preminentemente processuale che le impedirebbe di escludere giudizialmente la responsabilità dell’imputato per dolo o colpa grave, non rende, di per sé, legittimo il diniego del diritto al rimborso delle spese processuali sostenute dal dipendente. Così argomentando si vedrebbe compromessa la stessa ratio della disciplina sopra illustrata che vuole appunto evitare che il dipendente pubblico, ingiustamente accusato di presunti fatti illeciti, commessi nell’adempimento dei propri doveri d’ufficio, debba sopportare il peso economico della propria difesa in giudizio .. essere rimesso al prudente apprezzamento della singola amministrazione valutare se, nel caso concreto, ricorrano i presupposti sopra evidenziati per poter procedere al rimborso delle spese legali nei termini previsti dalla legge”.

In caso di rimborso postumo “l’amministrazione di appartenenza dovrà verificare, all’esito del procedimento (in questo senso ex post), che non sussista un conflitto di interessi tra l’attività istituzionale dell’ente e la condotta del lavoratore .. il principio del diritto alla difesa non può subire alcuna limitazione (T.A.R. Veneto n. 1505 del 5 ottobre 1999), sempre a condizione che il giudizio si sia concluso con una sentenza favorevole” e come tale “diritto al rimborso delle spese sostenute in un giudizio penale … non può essere escluso dalla circostanza che il Comune non abbia previamente espresso il proprio assenso nella scelta del difensore da parte dell’interessato (T.A.R. Veneto n. 1505 del 5 ottobre 1999)”.

Su queste basi, i pareri traggono la conclusione che le singole amministrazioni non possono contestare il diritto al rimborso per la mancata comunicazione preventiva: esse devono provvedere alla determinazione della misura del rimborso, che si ricorda avere natura indennitaria e non risarcitoria: “l’Amministrazione non sarebbe più tenuta ad un rimborso pieno della parcella, specie quando la stessa contenga importi superiori rispetto a quelli previsti dalle tabelle professionali. Infatti la partecipazione dell’ente alla scelta del legale, avrebbe potuto indirizzare la stessa verso un professionista che avesse assunto l’impegno di mantenersi nei limiti di dette tabelle. Si ritiene, pertanto, che l’amministrazione, in assenza della preventiva intesa, possa ridurre il rimborso alla parte della spesa che la stessa avrebbe assunto ove la scelta fosse stata concordata” (circ. Ministero dell’Interno 30.5.2003 – 16.59)… l’ente non è vincolato al parere espresso sulla parcella dal competente organo professionale (costituendo tale strumento un mero controllo sulla rispondenza delle voci indicate in parcella a quelle previste dalla tariffa, ma che non avvalora in alcun modo i criteri assunti dal professionista per individuare il valore della controversia e determinarne l’importanza – cfr. Cass. Civ. sez. II 30-01-1997, N. 932) .. in attesa delle nuove regole sancite dall’art. 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1 convertito dalla legge 24 marzo 2012, n. 27- l’ente potrà comunque fare riferimento, ai fini della verifica della congruità della parcella da rimborsare, al D.M. 8 aprile 2004, n. 127 (G.U. 18.5.2004, n. 115) con il quale è stato approvato il regolamento per la determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali in materia civile, amministrativa, tributaria e penale e stragiudiziali, tenuto conto delle effettive e certificate attività legali espletate nel procedimento penale, civile, contabile a carico conclusosi con esito favorevole”.

Ricordiamo che per la legittimità del rigetto della istanza di rimborso delle spese legali in caso di mancata comunicazione preventiva e di consenso alla scelta del difensore si era espressa la quinta sezione del Consiglio di Stato, sentenza n. 552 del 12 febbraio 2007.
Questa possibilità è da considerare ammessa in modo prevalente: sentenze del TAR Veneto 5 ottobre 1999 n. 1505, del TAR dell’Abruzzo (sede di Pescara) 7 marzo 1997 n. 108, della Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Lombardia, 19 ottobre 2005 n. 641 e della Corte dei Conti, sezione giurisdizionale dell’Abruzzo, n. 274/2005 e n. 294/2003, che escludono in questo caso il pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria. Espressamente, la sezione di controllo della Corte dei Conti della Sardegna nel parere n. 2/2006 richiama tali ultime sentenze, aderendo a questo filone interpretativo.

La sentenza n. 196 del 2012 della Corte dei Conti della Basilicata ha analizzato, in particolare, gli aspetti connessi al rapporto tra la sentenza e le attività svolte.

Essa ricorda la differenza tra le regole dettate precedentemente per il rimborso delle spese in caso di assoluzione e quelle sull’assunzione preventiva da parte delle amministrazioni degli oneri legali. “La menzionata disciplina impone all’Ente, prima di deliberare di assumere a carico del proprio bilancio ogni onere di difesa in un procedimento di responsabilità civile o penale aperto nei confronti di un proprio funzionario, di accertare la compresenza delle seguenti circostanze essenziali: a. necessità di tutelare i propri diritti e interessi e la propria immagine; b. diretta connessione del giudizio alla posizione rivestita dal dipendente all’interno dell’apparato tecno-burocratico; c. inconfigurabilità di conflitto di interessi tra gli atti compiuti dal dipendente e l’ente”. Di conseguenza l’amministrazione è tenuta a ponderare i propri interessi nel quadro del pendente procedimento giudiziario, per assicurare una buona e ragionevole amministrazione delle risorse economiche e a tutela del proprio decoro e della propria immagine. In tale quadro, l’assunzione delle spese dei procedimenti penali in cui siano implicati i propri dipendenti o amministratori è strettamente legato alla circostanza che tali procedimenti riguardano fatti ed atti in concreto imputabili non ai singoli soggetti che hanno agito per conto della Pubblica Amministrazione, ma direttamente ad essa in forza del rapporto di immedesimazione organica. La ponderazione degli interessi in gioco ai fini della rimborsabilità delle spese legali ai dipendenti pubblici o amministratori deve assumere particolare rigore (cfr., in tal senso, tra le tante, C.d.S. Sez, V, dec. n. 2242/2000, Cass., Sez. I, sent. n. 15724/2000). Tanto premesso, osserva il Collegio che ai sensi della disciplina richiamata, l’ente locale, anche a tutela dei propri diritti e interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assume a carico del proprio bilancio ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, a condizione che non sussista conflitto di interessi, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento. Nell’interpretazione della normativa in questione, la giurisprudenza ha statuito che l’ordinamento non annovera un principio generale che consenta di affermare la presenza di un generalizzato diritto al rimborso di tali spese. L’accollo dell’onere della spesa per l’assistenza legale ai propri dipendenti non configura un atto dovuto caratterizzato da automatismo, ma una decisione dell’ente locale basata sull’accertamento della ricorrenza dei presupposti indicati dalla legge e su rigorose valutazioni che occorre effettuare, anche ai fini di una trasparente, efficace ed efficiente amministrazione delle risorse economiche pubbliche. Nel delineato contesto incombe all’ente accertare la connessione della vicenda giudiziaria con la funzione rivestita dal pubblico funzionario, tutelare i suoi diritti ed interessi, verificare l’assenza di conflitto di interessi tra gli atti compiuti dal funzionario e i propri fini istituzionali nonchè la conclusione del procedimento penale con una sentenza di assoluzione ( ex multis: Cass., SS.UU., 29/05/2009, n. 12719; Cass., Sez. Lavoro, 07/06/2010, n. 13675; Corte dei conti, Sezione Lazio 1 febbraio 2011, n. 141). Con riferimento ai fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti di ufficio, la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che la ratio sottesa alla norma in parola è quella di tenere indenni i soggetti, che hanno agito in nome e per conto – oltre che nell’interesse – dell’Amministrazione, delle spese legali affrontate per i procedimenti giudiziari strettamente connessi all’espletamento dei loro compiti istituzionali, con la conseguenza che il requisito essenziale in questione può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di appartenenza. Non è quindi sufficiente che l’imputato sia stato prosciolto con formula liberatoria; occorre che il dipendente sia implicato in fatti che si trovino in diretto rapporto con le mansioni svolte e che siano connesse all’espletamento del servizio e all’adempimento dei propri doveri d’ufficio (Corte dei conti, Sezione Lazio 12 ottobre 2009, n. 1908)”.

La sentenza n. 196 del 2012 della Corte dei Conti della Basilicata ha analizzato, in particolare, gli aspetti connessi al rapporto tra la sentenza e le attività svolte.

Essa ricorda la differenza tra le regole dettate precedentemente per il rimborso delle spese in caso di assoluzione e quelle sull’assunzione preventiva da parte delle amministrazioni degli oneri legali. “La menzionata disciplina impone all’Ente, prima di deliberare di assumere a carico del proprio bilancio ogni onere di difesa in un procedimento di responsabilità civile o penale aperto nei confronti di un proprio funzionario, di accertare la compresenza delle seguenti circostanze essenziali: a. necessità di tutelare i propri diritti e interessi e la propria immagine; b. diretta connessione del giudizio alla posizione rivestita dal dipendente all’interno dell’apparato tecno-burocratico; c. inconfigurabilità di conflitto di interessi tra gli atti compiuti dal dipendente e l’ente”. Di conseguenza l’amministrazione è tenuta a ponderare i propri interessi nel quadro del pendente procedimento giudiziario, per assicurare una buona e ragionevole amministrazione delle risorse economiche e a tutela del proprio decoro e della propria immagine. In tale quadro, l’assunzione delle spese dei procedimenti penali in cui siano implicati i propri dipendenti o amministratori è strettamente legato alla circostanza che tali procedimenti riguardano fatti ed atti in concreto imputabili non ai singoli soggetti che hanno agito per conto della Pubblica Amministrazione, ma direttamente ad essa in forza del rapporto di immedesimazione organica. La ponderazione degli interessi in gioco ai fini della rimborsabilità delle spese legali ai dipendenti pubblici o amministratori deve assumere particolare rigore (cfr., in tal senso, tra le tante, C.d.S. Sez, V, dec. n. 2242/2000, Cass., Sez. I, sent. n. 15724/2000). Tanto premesso, osserva il Collegio che ai sensi della disciplina richiamata, l’ente locale, anche a tutela dei propri diritti e interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assume a carico del proprio bilancio ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, a condizione che non sussista conflitto di interessi, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento. Nell’interpretazione della normativa in questione, la giurisprudenza ha statuito che l’ordinamento non annovera un principio generale che consenta di affermare la presenza di un generalizzato diritto al rimborso di tali spese. L’accollo dell’onere della spesa per l’assistenza legale ai propri dipendenti non configura un atto dovuto caratterizzato da automatismo, ma una decisione dell’ente locale basata sull’accertamento della ricorrenza dei presupposti indicati dalla legge e su rigorose valutazioni che occorre effettuare, anche ai fini di una trasparente, efficace ed efficiente amministrazione delle risorse economiche pubbliche. Nel delineato contesto incombe all’ente accertare la connessione della vicenda giudiziaria con la funzione rivestita dal pubblico funzionario, tutelare i suoi diritti ed interessi, verificare l’assenza di conflitto di interessi tra gli atti compiuti dal funzionario e i propri fini istituzionali nonchè la conclusione del procedimento penale con una sentenza di assoluzione ( ex multis: Cass., SS.UU., 29/05/2009, n. 12719; Cass., Sez. Lavoro, 07/06/2010, n. 13675; Corte dei conti, Sezione Lazio 1 febbraio 2011, n. 141). Con riferimento ai fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti di ufficio, la giurisprudenza amministrativa ha evidenziato che la ratio sottesa alla norma in parola è quella di tenere indenni i soggetti, che hanno agito in nome e per conto – oltre che nell’interesse – dell’Amministrazione, delle spese legali affrontate per i procedimenti giudiziari strettamente connessi all’espletamento dei loro compiti istituzionali, con la conseguenza che il requisito essenziale in questione può considerarsi sussistente solo quando risulti possibile imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente all’Amministrazione di appartenenza. Non è quindi sufficiente che l’imputato sia stato prosciolto con formula liberatoria; occorre che il dipendente sia implicato in fatti che si trovino in diretto rapporto con le mansioni svolte e che siano connesse all’espletamento del servizio e all’adempimento dei propri doveri d’ufficio (Corte dei conti, Sezione Lazio 12 ottobre 2009, n. 1908)”.

La sentenza del Tar di Lecce, n. 940 del 25 maggio, la chiarito il nesso tra le attività svolte ed il procedimento giudiziario. “L’attività di escussione di un potenziale testimone è esattamente riconducibile alla funzione istituzionale propria del dipendente della Polizia municipale che, in base alla disposizione da ultimo ricordata , è chiamato a svolgere senz’altro anche compiti e funzioni di polizia giudiziaria in un contesto di attività pubblicistiche che si ricollegano all’attività di servizio”.“Ciò che conta, ai fini della rimborsabilità delle spese legali sostenute dal dipendente, non è lo svolgimento di funzioni strettamente imputabili all’ente, quasi che al di fuori delle attività di polizia municipale non sia possibile immaginare altro compito istituzionale per un vigile urbano; quanto il fatto che l’attività svolta ed in relazione alla quale è stato avviato un procedimento penale faccia parte dei compiti, pur limitatamente attribuiti al dipendente in conseguenza del suo statuto di impiegato pubblico … occorre prendere atto che l’attività svolta dal ricorrente era ed è qualificabile alla stregua di attività di servizio, indipendentemente dal fatto che si tratti di attività investigativa piuttosto che di attività di polizia municipale“.

La sentenza passa poi alle varie tipologie di sentenza: “quanto alla necessità che la pronuncia di assoluzione sia ampiamente liberatoria nei confronti del dipendente che chiede il rimborso delle spese legali sostenute per la propria difesa in giudizio, si osserva che, nella sistematica del codice di stampo accusatorio, anche l’impiego della formula contemplata dal capoverso dell’art 530 del codice di procedura (nda assoluzione per insufficienza di prove) non lascia residuare spazio alcuno circa la mancanza di responsabilità penale dell’imputato in ordine ai fatti che gli vengono addebitati, al punto tale che si ritiene insussistente un interesse giuridicamente apprezzabile a proporre impugnazione avverso la pronuncia che la contenga (vedi Cass. pen, sez III, 8 luglio 2002)”. Infine ricorda che “residua in capo alla competente amministrazione un potere discrezionale in ordine alla entità delle spese da rimborsare”.

La sentenza della prima sezione del Tar della Sicilia, sezione di Palermo, n. 695 del 4 aprile, ha dettato importanti indicazioni sul nesso tra l’attività svolta, il procedimento e le attribuzioni dell’ente. “La connessione dei fatti con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali deve intendersi nel senso che tali atti e fatti siano riconducibili all’attività funzionale del dipendente stesso in un rapporto di stretta dipendenza con l’adempimento dei propri obblighi, dovendo trattarsi di attività che necessariamente si ricollegano all’esercizio diligente della pubblica funzione (v. anche: C.g.a., sez. consultiva, 4 aprile 2006, n. 358); che, inoltre, vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere e il compimento dell’atto, nel senso che il dipendente non avrebbe assolto ai suoi compiti se non compiendo quel fatto o quell’atto (v. T.a.r. Lazio, Roma, I, 7 settembre 2010, n. 32113)”. Ed infine ha chiarito che “va rilevato che l’assoluzione penale del ricorrente per i fatti in esame è avvenuta ai sensi dell’art. 530 c.p.p., perché il fatto non sussiste, vale a dire solo per insufficienza di prove, con ciò non escludendosi del tutto la sua responsabilità”.

Le indicazioni degli anni precedenti

Richiamiamo infine i principi affermati dalla giurisprudenza in importanti pronunce:

Corte di Cassazione, Sezione lavoro, sentenza 23 gennaio 2007, n. 1418: il dipendente, ingiustamente accusato, “ha diritto al rimborso da parte della Amministrazione di appartenenza delle spese sopportate per la sua difesa, ma entro il limite di quanto strettamente necessario (trattandosi di erogazioni che gravano sulla finanza pubblica e devono quindi essere contenute al massimo) secondo il parere di un organo tecnico altamente qualificato per valutare sia le necessità difensive del funzionario, in relazione alle accuse che gli vengono mosse ed ai rischi del giudizio penale, e sia la conformità della parcella presentata dal difensore alla tariffa professionale.. Appare fuor di luogo il richiamo al parere di congruità espresso dal Consiglio dell’ordine su richiesta dell’avvocato che intenda agire nei confronti del cliente per il recupero delle sue spettanza, sia perché quel parere non é obbligatorio, ma necessario, sia perché la valutazione dell’Avvocatura riguarda non solo la conformità della parcella alla tariffa forense (oltre la quale il rimborso sarebbe illegittimo), ma il rapporto fra l’importanza e delicatezza della causa e le somme spese per la difesa e delle quali si chiede il rimborso”;

Corte di Cassazione, sentenza n. 5026 del 2009: “conseguenza della disciplina contrattualistica del rapporto è che l’inosservanza o la mancata o erronea applicazione delle norme di contratto collettivo per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche non costituisce violazione di legge o di regolamento, idonea a integrare la fattispecie del reato di abuso d’ufficio. Nel quadro della disciplina contrattualistica dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche rientra la norma relativa al patrocinio legale del dipendente per fatti connessi all’espletamento dei compiti d’ufficio, che, già presente nell’art. 16 D.P.R. 1 giugno 1979 n. 191 sulla disciplina del rapporto di lavoro del personale degli enti locali e nell’art. 67 D.P.R. 13 maggio 1987 n. 268, recante norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo sindacale, per il triennio 1985-87, relativo al comparto del personale degli enti locali, è stata successivamente recepita nell’art. 28 C.C.N.L. 14 settembre 2000 e, in conformità alla disposizione del citato art. 2 D.Lgs n. 29/1993 e succ. mod., trova in questo la sua fonte regolatrice, la cui violazione non riguarda pertanto una norma di legge o di regolamento, bensì una disposizione di natura patrizia di diritto privato, inidonea come tale a costituire il presupposto per la configurazione del reato di abuso d’ufficio”

Sezioni riunite di controllo della Corte dei Conti, parere n. 3/2008: il proscioglimento per prescrizione dinanzi al giudice contabile non consente il rimborso delle spese legali.

Corte dei Conti Basilicata, parere n. 91/2010 e della Liguria, parere n. 1471/2005: il proscioglimento per difetto di competenza non dà diritto al rimborso delle spese legali, in quanto non è un proscioglimento di merito.

Sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti della Puglia, sentenza n. 676/2002, e delle Marche, sentenza n. 236/2009: nel caso di archiviazione non vi è il diritto al rimborso delle spese legali, soprattutto per i procedimenti di responsabilità amministrativa.

Il dettato contrattuale

Il dettato contrattuale è contenuto nell’articolo 28 CCNL 14.9.2000, cd code contrattuali

  1. L’ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento.

 

  1. In caso di sentenza di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o colpa grave, l’ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni stato e grado del giudizio.