L’Aran chiarisce che i dipendenti possono vedersi assegnate mansioni diverse da quelle proprie a condizione che siano professionalmente equivalenti, quindi ascrivibili alla stessa categoria, non assumendo un rilievo ostativo la natura della professionalità specifica. Siamo in presenza di una indicazione di grande rilievo, soprattutto nella fase attuale: basta pensare alle opportunità che vengono aperte per la utilizzazione del personale educativo e docente degli asili nido e delle scuole materne a seguito della prolungata chiusura delle scuole.
Le disposizioni contrattuali sono quelle contenute nel CCNL 31.3.1999 all’articolo 3, comma 2, le quali stabiliscono testualmente che “tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili. L’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto di lavoro”. Esse si aggiungono alle prescrizioni legislative dettate dall’articolo 52 del d.lgs. n. 165/2001.
Alla base della indicazione dell’Aran vi sono i principi dettati dalle sentenze della Corte di Cassazione n. 13941/2009 e 2011/2017. In tali pronunce leggiamo che nel pubblico impiego si applica il “criterio dell’equivalenza formale con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita”. E non si applicano le previsioni dettate dall’articolo 2013 del codice civile, quindi non è necessario dare corso alla “tutela del c.d. bagaglio professionale del lavoratore” e si deve escludere che “il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione”. Ed inoltre, “restano insindacabili tanto l’operazione diriconduzione in una determinata categoria di determinati profili professionali, essendo tale operazione di esclusiva competenza dalle parti sociali, quanto l’operazione di verifica dell’equivalenza sostanziale tra le mansioni proprie del profilo professionale di provenienza e quelle proprie del profilo attribuito, ove entrambi siano riconducibili nella medesima declaratoria”.
La sentenza della Cassazione n. 11835/2009 ha inoltre aggiunto che “condizione necessaria e sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva, indipendentemente dalla professionalità acquisita”.
Su queste basi l’Aran trae la indicazione che la “equivalenza in senso formale, mutuata dalle diverse norme contrattuali del pubblico impiego, comporta che tutte le mansioni ascrivibili a ciascuna categoria, in quanto professionalmente equivalenti, sono esigibili e l’assegnazione di mansioni equivalenti costituisce atto di esercizio del potere determinativo dell’oggetto del contratto dilavoro. Ed ancora che “la locuzione in quanto equivalenti non può che essere considerata espressione di una valutazione di equivalenza di tutte le mansioni ascrivibili ad una stessa categoria aprioristicamente formulata dal contratto collettivo nazionale e perciò intesa in senso formale”.
Il parere mette infine in evidenza che il concreto esercizio del potere di assegnazione e modifica delle mansioni, cd jus variandi, costituisce una manifestazione tipica delle attribuzioni del dirigente in quanto soggetto dotato dei poteri e delle capacità del privato datore di lavoro.