Ai componenti le commissioni di concorso si applica la norma sull’obbligo di astensione
per inimicizia, solamente se la stessa è reciproca ed è maturata al di fuori dei contesti
connessi allo svolgimento di attività istituzionali. E’ questa la lettura fornita dalla sentenza
n. 280/2024 del Tar della Puglia, sede di Bari, prima sezione.
In primo luogo leggiamo che “le cause di incompatibilità di cui al ripetuto art. 51 codice
procedura civile, com’è noto (cfr., per tutti, Cons. St., III, 24 gennaio 2013 n. 477)
estensibili a tutti i campi dell’azione amministrativa quale applicazione dell’obbligo
costituzionale d’imparzialità – maxime alla materia concorsuale -, rivestono un carattere
tassativo. Esse sfuggono quindi ad ogni tentativo di manipolazione analogica all’evidente
scopo di tutelare l’esigenza di certezza dell’azione amministrativa e la stabilità della
composizione delle commissioni giudicatrici. Tanto soprattutto per evitare interferenze o
interventi esterni, preordinati, con effetto parimenti abusivo a quello dell’omessa
astensione di chi versi in patente conflitto d’interessi, a determinare, mediante usi forzati o
infondati di detti obblighi, una composizione gradita o intimorita dell’organo giudicante
(Consiglio di Stato, sezione terza, 2 aprile 2014, n. 1577)”.
Non integra una causa di incompatibilità il fatto che il ricorrente abbia impugnato gli atti di
un precedente concorso in cui uno dei componenti la commissione rivestiva tale ruolo. Ci
viene detto testualmente che “l’organo giudicante ha l’obbligo di astenersi se egli stesso…
ha causa pendente o grave inimicizia… con una delle parti…”, mentre, come
condivisibilmente opposto dalla difesa dell’Amministrazione, il giudizio cui la ricorrente fa
riferimento non pende tra quest’ultima e la professoressa-OMISSIS-, ma tra la ricorrente e
l’Amministrazione e, inoltre, per giurisprudenza consolidata, la situazione di “grave
inimicizia” presuppone la reciprocità; inoltre deve trovare fondamento solo in rapporti
personali ed estrinsecarsi in documentate e inequivocabili circostanze di conflittualità,
dovendo la grave inimicizia riferirsi a ragioni private di rancore o di avversione sorte
nell’ambito di rapporti estranei ai compiti istituzionali e configurarsi come autonomamente
insorta da rapporti interpersonali legati a vicende della vita estranee alle funzioni esercitate
dal soggetto giudicante, non ravvisabili nel caso di specie”.