IL PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO

Di Arturo Bianco

 

SOMMARIO

  • INTRODUZIONE

  • IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO

  • LA PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO

  • LA COMUNICAZIONE DEI MOTIVI OSTATIVI

  • L’EFFICACIA E L’INVALIDITA’ DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI

  • LA LEGGE N. 69/2009

INTRODUZIONE

La emanazione della legge n. 15/2005 di riforma della legge n. 241/1990 ha concluso un confronto avviato da molti anni su questo tema e costituisce un momento di straordinario rilievo per la attività delle Pubbliche Amministrazioni e per il loro rapporto con i cittadini e, più in generale, con i privati. Con l’entrata in vigore della legge n. 69/2009 il processo di riforma conosce una nuova accelerazione, in particolare in direzione della previsione di forme di tutela aggiuntive per i cittadini.

Molte le novità degne di rilievo contenute nella legge n. 15/2005, tra tutte segnaliamo: il nuovo concetto di azione amministrativa, le modifiche apportate agli effetti della comunicazione di inizio attività, la nuova disciplina del diritto di accesso, la puntualizzazione del ruolo del responsabile del procedimento. Alcune di queste modifiche recepiscono indicazioni tratte dalla giurisprudenza (ad esempio la disciplina della invalidità amministrativa); altre costituiscono una rivisitazione della normativa già esistente (il ricorso contro il silenzio inadempimento, la conferenza di servizi); altre, infine, costituiscono discipline interamente nuove (la comunicazione preventiva dei motivi ostativi all’accoglimento delle istanze).

Si deve sottolineare il rilievo che le disposizioni assumono per l’attività delle PA e le conseguenze concrete che si determinano, a partire dalla necessità di ripensare la propria struttura organizzativa e le logiche che sono alla base della propria attività. Per molti aspetti ed in molti centri, infatti, la realtà è significativamente più “arretrata” rispetto al modello ipotizzato dalla normativa.

La norma si articola in 23 articoli. Essi dettano, nella gran parte dei casi, modifiche al testo della legge n. 241/1990 e, solo in tre punti, modifiche ad altre disposizioni.

Da sottolineare che vengono inseriti i titoli ad ognuno dei singoli articoli della legge n. 241/1990.

Il rilievo sicuramente maggiore, vedi in questo senso Cerulli Irelli, lo hanno le disposizioni introdotte in materia di invalidità dell’atto amministrativo.

Tra i primi possibili effetti si deve scontare l’aggravamento dei procedimenti ad istanza di parte.

Da sottolineare il significativo ampliamento dei margini di utilizzabilità dell’accordo sostitutivo o integrativo dei provvedimenti, ampliamento che si realizza attraverso la abrogazione della sua limitazione ai soli casi previsti dalla legge.

La disposizione conferma per molti aspetti, vedi in questo senso Vincenzo Martorano, che siamo dinanzi ad un primo abbozzo di codificazione del diritto amministrativo sostanziale, finora assente nel nostro ordinamento.

Occorre comunque rilevare che, subito dopo la approvazione della riforma, il legislatore ha messo di nuovo mano alla legge n. 241/1990. Al momento attuale, infatti, il testo dell’articolo 19 in materia di denuncia di inizio attività è stato integralmente sostituito dal DL n. 35/2005, cd decreto sulla competitività, e la legge di conversione di tale decreto ha modificato completamente gli articoli 2, in tema di conclusione del procedimento, e 20, in tema di silenzio assenso; ha introdotto modifiche agli articoli 18, in tema di acquisizione d’ufficio di documenti, 21, in tema di controlli, e 25 in tema di ricorsi sul diritto di accesso. Ed ha inoltre previsto che i regolamenti sui termini dei procedimenti amministrativi siano emanati entro i sei mesi successivi alla entrata in vigore del provvedimento (cioè entro il prossimo mese di novembre) e che nelle more si continuino ad applicare i vecchi regolamenti. Ed ancora che le nuove disposizioni sulla conclusione dei procedimenti non si applichino a quelli in corso alla data di entrata in vigore della legge e che il silenzio assenso matura, nei primi sei mesi di applicazione della nuova legge, entro il termine di 180 giorni (fatti ovviamente salvi i casi in cui la normativa detti espressamente termini più lunghi).

La legge n. 69/2009 contiene numerose disposizioni di snellimento e semplificazione della attività amministrativa delle Pubbliche Amministrazioni. Una sua parte di grande rilievo è costituita dalle modifiche dettate alla legge n. 241/1990, modifiche che vanno soprattutto nella direzione del rafforzamento delle forme di tutela offerte ai cittadini, sia in termini di diritto di accesso sia con riferimento ai procedimenti amministrativi.

IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO

La riforma della legge n. 241/1990 dettata dalla legge n. 15/2005 detta poche, ma rilevanti modifiche alle disposizioni sul responsabile del procedimento. Tali modifiche accentuano la responsabilizzazione di questa figura che assume pertanto un ruolo sempre più centrale nella attività amministrativa. Un ruolo che costituisce il punto di riferimento unico della attività nella fase propedeutica, anche per ciò che riguarda i rapporti che si devono aprire con soggetti esterni. L’esame dei compiti del responsabile del procedimento deve congiungersi alla analisi delle disposizioni dettate dalla legge Frattini, legge n. 145/2002, in tema di delega di funzioni dirigenziali. Disposizioni che, in particolare sul tema della adozione dei provvedimenti a rilevanza esterna, dettano specifiche previsioni.

 

La struttura responsabile

In primo luogo viene confermato integralmente dall’articolo 4 della legge n. 241/1990 l’obbligo per tutte le PA di individuare, con atto da rendere pubblico, le unità organizzative responsabili della istruttoria e della adozione del provvedimento finale per tutti i procedimenti. Siamo dinanzi ad un adempimento previsto dalla legge fin dalla sua adozione, adempimento che di regola viene soddisfatto attraverso il regolamento sui procedimenti e sui relativi termini. Si prescrive l’obbligo di pubblicità, che si può ritenere soddisfatto attraverso il rispetto delle prescrizioni di carattere generale, vedi in particolare la affissione all’albo pretorio. Non sono infatti richieste forme di pubblicità adeguate o ulteriori. Occorre evidenziare che la disposizione prevede che la responsabilità del procedimento non sia scissa tra più unità organizzative, ma sia concentrata in una sola. Si deve infine evidenziare che la dizione di unità organizzative è quanto mai generica e consente alle singole amministrazioni di scegliere il modello che si ritiene più adeguato. Ricordiamo infine che la indicazione della struttura individuata come responsabile di un procedimento deve essere contenuta nella comunicazione di avvio del procedimento.

 

L’individuazione

La legge n. 15/2005 non ha modificato le disposizioni dettate dall’articolo 5 della legge n. 241/1990 in materia di individuazione del responsabile del procedimento. Tale attribuzione spetta, ci dice la disposizione, al dirigente della articolazione organizzativa individuata come responsabile del procedimento ovvero, su sua designazione, ad un dipendente di tale struttura. Le disposizioni ci dicono inoltre che il responsabile del procedimento può dal dirigente essere individuato anche come soggetto competente alla emanazione del provvedimento finale. Ovviamente la nozione di dirigente deve essere intesa in senso ampio, cioè deve comprendere anche i titolari di posizione organizzativa negli enti che sono sprovvisti di dirigenti.

Il legislatore offre quindi tre soluzioni per la individuazione del responsabile del procedimento: il dirigente, un dipendente della struttura, soluzione che a sua volta si suddivide in due opzioni: assegnare la competenza alla adozione del provvedimento finale ovvero riservare a se stessi tale competenza. Non vi sono particolari condizioni o vincoli posti dalla normativa, per cui dobbiamo rifarci ai principi di carattere generale. Con due avvertenze iniziali: la mancata designazione del responsabile del procedimento equivale alla individuazione del dirigente e la individuazione di un dipendente come responsabile del procedimento deve essere effettuata con un atto scritto. E ‘ inoltre opportuno ricordare che la individuazione dell’unità organizzativa e del responsabile del procedimento devono essere comunicati ai soggetti interessati.

La disposizione è stata oggetto di interpretazioni, sia dottrinali che in giurisprudenza, differenziate per ciò che riguarda il trasferimento dal dirigente ad un dipendente della competenza alla adozione del provvedimento finale. Occorre rilevare che siamo dinanzi ad una possibilità che è espressamente prevista dalla norma e che, quindi, in sede interpretativa non si può tralasciare tale chiara indicazione. Per queste ragioni si ritiene che la competenza alla adozione del provvedimento finale possa dal dirigente essere assegnata ad altro dipendente. E che tale indicazione deve risultare in modo espresso e deve essere oggetto di una specifica formalizzazione.

La competenza alla individuazione dei responsabili dei procedimenti ed alla assegnazione dei relativi compiti, ovviamente entro l’ambito previsto dal legislatore, appartiene al dirigente. Siamo in questo caso dinanzi ad una tipica funzione dirigenziale, cioè ad una scelta che è direttamente collegata alle modalità di esercizio dei compiti assegnati ai dirigenti e che, pertanto, appartiene alla sua sfera di autonomia e di responsabilità. Dal che ne deriva la conclusione che l’ente può, sia in sede regolamentare che attraverso la adozione di direttive, dettare delle prescrizioni di carattere generale, ma non può in alcun modo sostituirsi o sovrapporsi alla volontà del dirigente né, tantomeno, espropriarlo. Ovviamente il dirigente esercita tale attribuzione assumendosene pienamente le responsabilità in termini di risultato e, entro i limiti fissati dai principi generali, in termini di responsabilità amministrativa.

E’ aperto il tema se la assegnazione della responsabilità di procedimento possa o meno essere ascritta all’ambito delle attribuzioni relative alla gestione delle risorse umane e che, quindi, i relativi atti non siano atti unilaterali di diritto privato. O che siamo, piuttosto, dinanzi a modalità relative alla organizzazione della attività amministrativa, quindi entro una sfera pubblicistica. Ragione per cui i relativi atti dovrebbero avere una natura provvedimentale e, quindi, essere sottoposti alle regole del diritto amministrativo. Ha natura di atto provvedimentale, sulla base delle espresse previsioni contenute nel DLgs n. 165/2001, l’istituto, per alcuni versi analogo, della delega di funzioni dirigenziali. Il dubbio, in termini concreti, determina delle conseguenze sull’obbligo di motivazione, che è dalla legge n. 241/1990 definito come obbligatorio per tutti gli atti amministrativi, mentre è comunque evidente che non è necessario emanare alcuna comunicazione dell’avvio del procedimento nei confronti del dipendente, trattandosi di un atto introduttivo del procedimento amministrativo. Si deve ritenere, a parere di chi scrive, preferibile la tesi per la quale siamo dinanzi ad atti ascrivibili alla sfera della gestione delle risorse umane, quindi privi di una natura pubblicistica e, in concreto, privi del vincolo della motivazione.

Nella individuazione dei responsabili di procedimento il dirigente è tenuto a rispettare le prescrizioni che si riferiscono alle declaratorie delle categorie in cui il personale è inquadrato ed ai profili professionali. Deve, al riguardo, evitare di assegnare compiti che possono essere ascrivibili a personale inquadrato in una categoria superiore. Dalla declaratoria allegata al CCNL 31.3.1999, cd nuovo ordinamento professionale, possiamo trarre alcune indicazioni di carattere generale. I dipendenti della categoria D possono sicuramente essere individuati, tanto negli enti con i dirigenti che, a maggior ragione, in quelli che ne sono privi, come responsabili di qualunque procedimento, ivi compresi quelli complessi ed in cui i margini di discrezionalità sono assai ampi; basta ricordare le prescrizioni per le quali essi devono avere una approfondita conoscenza plurispecialistica, per le quali possono intrattenere relazioni esterne, ivi comprese le altre istituzioni, aventi natura negoziale e per le quali possono essere investiti anche di poteri di rappresentanza. E che non vi sono, per le stesse ragioni, limitazioni a che sia ad essi assegnato anche il potere di adozione dei provvedimenti finali.

I dipendenti di categoria C possono essere sicuramente individuati come responsabili di procedimento, basta ricordare la loro vecchia definizione, ancora oggi ripresa in molti profili professionali, per cui sono definiti come istruttori e la definizione utilizzata nella declaratoria della loro competenza come monospecialitica. Per spingersi al di là di tale soglia occorre fare riferimento alla complessità del procedimento ed alla dimensione dell’ente, in particolare differenziare la condizione di quelli in cui vi sono i dirigenti dagli altri. In altri termini, la assegnazione della responsabilità di procedimenti complessi e/o la attribuzione del potere di adozione di provvedimenti a rilevanza esterna deve tendenzialmente ritenersi limitata agli enti in cui non sono presenti figure dirigenziali.

Non si può ritenere preclusa in linea di principio la possibilità di assegnare a dipendenti di categoria B la responsabilità di procedimento: basta ricordare che essi, negli enti sprovvisti, di dipendenti di categoria D possono addirittura essere individuati come responsabili di posizione organizzativa. Ma ovviamente occorre il massimo di cautela, per cui verosimilmente tali dipendenti possono essere individuati come destinatari della responsabilità di procedimento in enti di modeste dimensioni privi di dirigenti e tale attribuzione si deve di regola ritenere limitata ai procedimenti semplici ed aventi una natura sostanzialmente ripetitiva e con preclusione della competenza alla adozione dei provvedimenti finali.

Mancano indicazioni specifiche sulla natura del rapporto che lega il responsabile di procedimento all’ente, cioè se egli debba necessariamente essere un dipendente, anche a tempo determinato, ovvero se possa essere legato all’ente da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa ovvero da un semplice incarico professionale. La risposta deve pertanto essere data sulla base dei principi di carattere generale. Sicuramente laddove sono attribuiti al responsabile di procedimento compiti dirigenziali, quali la adozione del provvedimento a rilevanza esterna, appare necessario che egli sia legato da un rapporto di subordinazione con l’ente. Qualora i suoi compiti non comprendano tale attribuzione il discrimine appare meno netto. A parere di chi scrive, occorre comunque che vi sia un rapporto di incardinazione organica, quindi un rapporto di lavoro subordinato, in considerazione della rilevanza, anche esterna, che assume il responsabile del procedimento.

La legge cd Merloni sui lavori pubblici, legge n. 109/1994 e successive modiche ed integrazioni, prevede una figura specifica di responsabile di procedimento, quello dei lavori pubblici. A questa figura si applicano le disposizioni previste dalla normativa di settore e, solo in quanto compatibili, le norme generali. Ricordiamo che i compiti di questa figura sono assai rafforzati rispetto a quelli attribuiti dalla legge n. 241/1990 alla pluralità dei responsabili di procedimento e ricordiamo anche che la norma prevede espressamente che la sua individuazione sia di regola effettuata tra i dipendenti dell’ente.

Si deve, infine su questo punto, ricordare che il dipendente che è stato individuato dal dirigente come responsabile di procedimento, anche nella ipotesi in cui gli sia stata assegnata la competenza alla emanazione del provvedimento finale, non può rifiutarsi di svolgere tale ruolo. Né può subordinarlo alla corresponsione di una indennità o, comunque, di una forma di trattamento economico accessorio. Ai sensi delle previsioni dettate dal CCNL, infatti, i dipendenti devono svolgere tutti i compiti loro assegnati. Possono, al massimo, chiedere che tali attribuzioni siano confermate per iscritto. Essi non devono svolgere i compiti loro assegnati solo nel caso in cui si concretizzi un reato o una grave illegittimità amministrativa. Ovviamente rimane loro aperta la strada del ricorso in sede giurisdizionale, anche al fine di ottenere il riconoscimento di eventuali mansioni superiori.

 

La delega

In parte analogo ed in parte diversificato è l’istituto della delega delle funzioni dirigenziali. Esso è stato introdotto dalla legge n. 145/2002, cd legge Frattini, come comma 1 bis dell’articolo 17 del DLgs n. 165/2001, cioè del testo unico delle leggi sul lavoro pubblico. Tale disposizione prevede la possibilità della delega di competenze da parte dei dirigenti nella gestione, ivi compresa l’adozione di provvedimenti a rilevanza esterna e di gestione delle entrate e della spesa, nonché di coordinamento degli uffici, ivi inclusi i responsabili di procedimento, nonché di gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali. La norma prevede le seguenti condizioni: la delega può essere emanata “per specifiche e comprovate ragioni di servizio”, nonché con atto scritto e motivato, per un periodo di tempo determinato, nei confronti dei dipendenti che coprono “le posizioni funzionali più elevate nell’ambito degli uffici ad essi affidati” ed, infine, che possano essere delegate alcune delle funzioni dirigenziali.

Le condizioni fissate dal legislatore sono dunque assai precise e circostanziate. Il provvedimento, ovviamente scritto, deve essere in primo luogo motivato e deve in particolare indicare quali sono le ragioni di servizio per cui esso viene adottato. Non siamo quindi dinanzi ad una scelta che il dirigente può effettuare a propria completa discrezione, ma deve avere una specifica motivazione riferita alle ragioni d’ufficio. Siamo, più che dinanzi ad un limite alla autonomia dirigenziale, dinanzi ad una modalità che deve essere rispettata. La delega deve avere una durata a tempo determinato, cioè un termine, la cui determinazione è comunque rimessa alla autonomia del dirigente. Di grande rilievo la individuazione del destinatario della delega unicamente nei dipendenti che hanno la posizione funzionale più elevata nell’ambito della struttura organizzativa diretta dal dirigente. E’ questa una chiara limitazione della autonomia dirigenziale, che viene dettata affinchè si evitino condizioni di sperequazione che non trovano una motivata ragione su cui basarsi. Si deve infine evidenziare che l’oggetto della delega viene delimitato in modo duplice. In primo luogo come materie: non sono infatti delegabili alcuni dei compiti dirigenziali, quali la formulazione di pareri agli uffici dirigenziali generali e lo svolgimento dei compiti ad essi delegati dagli uffici dirigenziali generali. In secondo luogo viene delegato come quantità: non possono infatti essere delegati tutte le attività, ma solo alcune.

La delega può riguardare la adozione dei provvedimenti a rilevanza esterna, ed in questo ambito si deve ritenere che essa abbia caratteristiche sostanzialmente analoghe alla assegnazione da parte del dirigente della responsabilità di procedimento, ivi compresa la adozione dei provvedimenti finali. Ed infatti, il primo intento che il legislatore della legge Frattini ha voluto raggiungere, per espressa indicazione contenuta nella relazione illustrativa del provvedimento, è quello di chiarire definitivamente ed incontrovertibilmente in modo preciso la possibilità per il dirigente di delegare la adozione dei provvedimenti a rilevanza esterna ad un altro dipendente. La delega riguarda uno o più aspetti, ad esempio una materia per un periodo di tempo determinato, mentre la attribuzione al responsabile del procedimento del potere di adozione di un provvedimento a rilevanza esterno è di regola da ritenere circoscritto ad uno specifico atto. La delega costituisce quindi un istituto di portata ben più vasta della semplice attribuzione su uno specifico atto del potere di sua adozione. Ed è questa la ragione per cui la delega può essere invece conferita ad un numero più ridotto di soggetti, quelli che occupano la posizione funzionale più elevata nell’ambito della struttura, mentre la competenza alla adozione del provvedimento finale può essere attribuita a tutti i responsabili di procedimento.

Il legislatore ha voluto infine vincolare l’esercizio della delega non a tutte le competenze dirigenziali: è evidente la indicazione per cui si impegna il dirigente a non spogliarsi di tutte le proprie attribuzioni. Ciò porterebbe infatti a doversi chiedere per quali ragioni si legittima la persistenza di una posizione dirigenziale priva di ruolo e di competenze.

La posizione funzionalmente più elevata non deve essere intesa in termini di progressione economica all’interno della categoria, visto che ciò non dà luogo a differenziazioni funzionali, ma solo economiche. Essa và intesa nel senso che nelle strutture organizzative in cui è presente il titolare di posizione, è questa figura l’unico possibile destinatario della delega.

Ricordiamo, infine su questo punto, che il Ministero dell’Interno ha chiarito che questa disposizione è applicabile anche negli enti che sono privi di dirigenti. Il conferimento in queste realtà ai titolari di posizione organizzativa di funzioni dirigenziali non costituisce infatti una delega, quindi non delegabile a sua volta, da parte del sindaco. I poteri di gestione non spettano infatti all’organo politico e questo ha unicamente il compito di ripartirli tra i dirigenti o, negli enti che ne sono sprovvisti, tra i responsabili.

 

I compiti del responsabile del procedimento

Alcune importanti modifiche sono state apportate dalla legge n. 15/2005 alla definizione dei compiti del responsabile del procedimento. Spettano a lui, disposizione che riprende la norme originarie della legge n. 241/1990, la valutazione delle condizioni di ammissibilità, dei requisiti di legittimazione e dei presupposti rilevanti; l’accertamento dei fatti e lo svolgimento in termini rapidi della istruttoria, a tal fine anche chiedendo il rilascio di dichiarazioni; le rettifiche, disponendo gli accertamenti tecnici e le esibizioni documentali; la proposta al dirigente o la indizione diretta, se siamo dinanzi alla coincidenza tra responsabile del procedimento e dirigente, della conferenza dei servizi; la cura delle comunicazioni e delle pubblicazioni; la adozione del provvedimento finale ovvero la trasmissione degli atti al soggetto competente, cioè al dirigente ovvero all’organo politico. L’elemento di novità è stato inserito a questo punto: si impegna il responsabile dell’adozione dell’atto a non discostarsi in linea generale dalle risultanze istruttorie. La condizione perché ciò possa avvenire legittimamente è data dalla indicazione espressa delle motivazioni. Per Giovanni Virga siamo dinanzi al recepimento di un orientamento giurisprudenziale, per il quale la contraddittorietà della motivazione deve essere esaminata non solo con riguardo agli atti esterni, ma anche con riguardo agli atti interni.

Sulla base di questa innovazione possiamo ritenere che il responsabile del procedimento, peraltro assai valorizzato nel proprio ruolo e nella propria responsabilità dalle novità apportate dalla legge n. 15/2005, gode di una ampia autonomia gestionale e, in modo correlato, è direttamente responsabile del suo esercizio. Non a caso si può parlare, per alcuni aspetti, di coordinamento procedimentale tra dirigente e responsabile del procedimento, definizione più corretta rispetto a quella della tradizionale subordinazione gerarchica. Definizione che si sostanzia nello svolgimento di poteri di direzione, coordinamento e vigilanza. Il che vuol dire, in termini concreti, che il responsabile del procedimento, ovviamente ove è diverso dal dirigente, risponde comunque a quest’ultimo, in omaggio al principio per il quale il dirigente esercita i poteri e le capacità del datore di lavoro, quindi può impartire ordini, assegna la responsabilità, può revocarla, sostituendosi direttamente ovvero individuando altro dipendente. Ma non può inserirsi nel merito della attività istruttoria svolta dal responsabile del procedimento ed impartire ordini circa le conclusioni a cui essa deve pervenire. Il responsabile del procedimento è, nella fase istruttoria, il punto di riferimento sostanzialmente esclusivo dell’ente. Non a caso il legislatore gli ha attribuito espressamente anche i compiti di interlocuzione esterna, sia con altre istituzioni che con i privati interessati o comunque coinvolti.

La proposta di provvedimento finale che il responsabile del procedimento avanza può assumere forme diverse, ad esempio essere una vera e propria proposta di determinazione o di deliberazione ovvero essere una relazione conclusiva al dirigente competente alla adozione del provvedimento finale. Queste, come tutte le formule che comunque consentono di assumere una chiara indicazione della proposta avanzata dal responsabile del procedimento, sono da considerare pienamente legittime.

La riforma della legge n. 241/1990 contenuta nella legge n. 15/2005 ha determinato l’inserimento del nuovo articolo 10 bis sull’obbligo di comunicazione preventiva dei motivi ostativi all’accoglimento delle istanze di parte. La norma non dice se tale comunicazione debba essere svolta dal responsabile del procedimento o dal dirigente competente alla adozione del provvedimento finale. Si ritiene necessario che questo aspetto sia oggetto di una specifica regolamentazione nei singoli enti, potendosi prevedere sia la attribuzione di tale compito al responsabile del procedimento che la sua attribuzione al dirigente, ovviamente ove a questa figura sia assegnato il compito di adozione del provvedimento finale. In assenza di una tale previsione occorre che il responsabile del procedimento segnali tale obbligo al dirigente, ove non abbia provveduto direttamente, e che il dirigente verifichi che esso sia stato adempiuto, anche al fine di dare una risposta nel provvedimento finale alle considerazioni che il soggetto privato abbia comunque ritenuto necessario avanzare.

 

La responsabilità

Il ruolo da protagonista attribuito al responsabile del procedimento determina conseguenze anche sul terreno della responsabilità. Sicuramente spetta per intero al dirigente, anche nel caso della delega, la responsabilità dirigenziale o di risultato. Siamo dinanzi ad una scelta che egli compie autonomamente e della quale porta quindi per intero ed in modo esclusivo la responsabilità in termini di risultati effettivamente e concretamente raggiunti. In questo ambito tanto la delega che la attribuzione della responsabilità della adozione del provvedimento finale costituiscono una modalità di svolgimento delle competenze attribuite al dirigente e non lo privano del suo ruolo di protagonista della gestione e, quindi, dei suoi esiti concreti.

Sul versante della responsabilità penale e di quella civile occorre evidenziare che in linea generale al dirigente non possono attribuirsi particolari “ruoli”, stante la natura personale di tali forme di responsabilità. Restiamo, in particolare per la responsabilità civile, nell’ambito dell’istituto della delega e, quindi, della eventuale permanenza della responsabilità del delegante accanto a quella del delegato.

Analoghe considerazioni possono, in parte, essere fatte sulla responsabilità amministrativa e contabile. Anch’essa infatti ha una natura personale. Ma occorre evidenziare che il dirigente ha una responsabilità esclusiva di risultato e che a lui sono attribuiti poteri di coordinamento e controllo. E, pertanto, può essere individuato come responsabile in solido con colui a cui è stata affidata la responsabilità di procedimento. Tale responsabilità nasce nei casi in cui non ha esercitato i poteri di controllo che spettano ai dirigenti. Il che, nella giurisprudenza della Corte dei Conti, si è tradotto nel principio per cui il dirigente può essere individuato come responsabile, in solido, nel caso in cui sulla base della sua competenza tecnica e della ordinaria diligenza che si deve prestare nella attività amministrativa, non poteva non accorgersi delle irregolarità/illegittimità compiute dal responsabile del procedimento.

Tale forma di responsabilità in solido non si può considerare cancellata, ma solo attenuata, nel caso in cui il dirigente ha delegato la competenza alla adozione del provvedimento finale, sia nella forma della delega che in quella della sua attribuzione al responsabile del procedimento. Infatti, il dirigente deve anche in questo caso svolgere comunque compiti di controllo, compiti che sono connaturati al suo ruolo.

Appare infine opportuno evidenziare che la nuova disposizione per cui il dirigente non può discostarsi dalla proposta del responsabile del procedimento accentua la responsabilità di quest’ultimo nella effettuazione di una istruttoria che risponda pienamente al carattere della legittimità e della regolarità.

 

Il compenso

Non vi è una forma compenso che obbligatoriamente remunera lo svolgimento della attività di responsabile di procedimento, anche nella ipotesi della attribuzione della competenza alla adozione di provvedimenti a rilevanza esterna. Né, tantomeno, come abbiamo già detto in precedenza, la loro effettuazione può essere subordinata alla erogazione di indennità.

Il CCNL, in particolare quelli dello 1.4.1999 che la ha istituita e quello del 22.1.2004 che la ha rivalutata, prevedono la possibilità di erogare la indennità per “specifiche responsabilità”. Siamo dinanzi ad un compenso che annualmente deve essere compreso in una misura compresa tra 1.000 e 2.000 euro e che può essere erogato a personale appartenente alle categorie B, C e D. La istituzione di questa indennità, la definizione della misura del compenso e la individuazione dei responsabili è rimessa alla contrattazione decentrata. Essa deve, quindi, dare corso alla previsione contrattuale, decidere la quantità di risorse da destinare a questa indennità, fissare la misura, che può ovviamente anche essere differenziata, definire le prestazioni che vanno remunerate ed individuare i destinatari. Entro questo ambito i dirigenti o, nei comuni che ne sono sprovvisti, i titolari di posizione organizzativa la assegneranno.

Nella individuazione degli ambiti entro cui l’indennità deve essere attribuita e dei responsabili la contrattazione decentrata potrà dare tanto una interpretazione estensiva che una restrittiva delle previsioni dettate dalla contrattazione nazionale. Si potrà, cioè ad esempio, spaziare dalla sua attribuzione a tutti i responsabili di procedimento, che prevedere che solo i responsabili di procedimenti complessi possano esserne destinatari, ovvero limitarla solo ai responsabili a cui sia conferito il compito di adottare i provvedimenti a rilevanza esterna. Ovvero si potrà prevedere una differenziazione della misura della indennità sulla base dei compiti effettivamente svolti e/o sulla base della categoria di inquadramento.

I contratti nazionale dedicano una specifica attenzione alle remunerazione di forme di responsabilità specifiche. Per il responsabile del procedimento dei lavori pubblici è prevista una forma di compenso specifica dalla legge n. 109/1994 e successive modifiche ed integrazioni. Essa rimette alla contrattazione decentrata la possibilità di prevedere un compenso, il cui importo massimo è fissato nel 2% del costo dell’opera, da ripartire tra i dipendenti chiamati a svolgere una serie di funzioni specificamente indicate dalla stessa norma (progettazione, direzione lavori, direzione sicurezza, collaudo etc) e tra cui è compresa anche la remunerazione della responsabilità di procedimento. Anche in questo caso la contrattazione decentrata, con una disposizione che deve però essere ripresa da una norma regolamentare adottata dall’ente, deve fissare la misura e gli ambiti di applicazione. Ricordiamo infine che il contratto collettivo nazionale di lavoro ha previsto una indennità di misura ridotta, non superiore a 300 euro annui lordi, che può essere erogata, sulla base delle previsioni dettate dalla contrattazione collettiva decentrata integrativa, in favore dei dipendenti investiti di specifiche responsabilità ed appartenenti alle posizioni di lavoro previste dal contratto nazionale. Cioè una indennità che, in parte almeno, si sovrappone e sostituisce la indennità per specifiche responsabilità previste dal contratto dello 1.4.1999 e che è comunque utilizzabile al fine di remunerare il conferimento di incarichi di responsabilità di procedimento nei settori previsti dal contratto stesso.

LA PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO

Vi sono alcune novità di rilievo anche nelle norme sulla comunicazione dell’avvio del procedimento; novità di ancora maggiore rilievo su questo punto sono state inserite nel nuovo articolo, il 21 octies, dedicato alla invalidità dei provvedimenti amministrativi.

Si conferma l’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento, fatti salvi i casi in cui vi ostino ragioni di celerità del procedimento. Tale comunicazione deve essere diretta a tre gruppi di soggetti: coloro nei cui confronti il provvedimento finale produce effetto, coloro che devono intervenire nel procedimento e coloro nei cui confronti il provvedimento possa produrre effetti non positivi, ovviamente ove facilmente individuabili. I provvedimenti cautelari possono essere assunti anche prima della comunicazione dell’avvio del procedimento.

Alcuni elementi di novità sono dettati in tema di modalità e contenuti dell’avviso di inizio del procedimento, che deve essere effettuato mediante una comunicazione personale. Tale comunicazione deve contenere: la PA, l’oggetto l’ufficio ed il responsabile del procedimento, l’ufficio in cui si può prendere visione degli atti e, elementi introdotti dalla legge n. 15/2005, la data entro cui deve concludersi il procedimento, i ricorsi che possono essere esperiti in caso di inerzia e la eventuale data di presentazione della istanza.

In caso di elevato numero dei destinatari la comunicazione di avvio del procedimento può essere sostituita da idonee forme di pubblicità decise dalla PA. Contro l’omissione di alcuni elementi il ricorso può essere avanzato solo dal soggetto nel cui interesse viene previsto l’obbligo di comunicazione.

Si deve sottolineare anche la previsione per cui la comunicazione di avvio del procedimento nei procedimenti ad istanza di parte deve indicare la data di presentazione della istanza. Il che sottolinea che l’avvio del procedimento non è una conseguenza automatica, che ciò può avvenire decorso un lasso considerevole di tempo dalla sua presentazione e che si devono tutelare i diritti dei cd controinteressati.

Non vi sono novità, in tema di partecipazione, né per la possibilità di intervento che è prevista per i portatori di interessi pubblici, privati e diffusi a cui possa derivare un danno dal provvedimento, né per i diritti dei partecipanti al procedimento. Infatti, i soggetti a cui è comunicato l’avvio del procedimento e coloro che vi intervengono hanno diritto alla visione degli atti ed a presentare istanze che la PA deve valutare, ovviamente ove pertinenti con l’oggetto del procedimento.

Un rilevante valore innovativo ha la disposizione, del tutto inedita, sull’obbligo di comunicare preventivamente alla conclusione i motivi ostativi all’accoglimento delle istanze da cui ha tratto impulso il procedimento. Si prevede, oltre a tale obbligo, la possibilità di presentazione di istanze da parte del soggetto interessato; l’obbligo per la PA di tenere conto delle argomentazioni avanzate da questo soggetto e, nel frattempo, la sospensione dei termini. Tale disposizione non si applica nei concorsi per la selezione di personale e nei procedimenti di parte avviati in tema previdenziale ed assistenziale. A giudizio di Giovanni Virga, che critica la limitazione ai soli procedimenti avviati ad istanza di parte e la esclusione da quelli concorsuali e previdenziali, il legislatore afferma in tal modo la logica “del dialogo” come metodo tra la PA ed il privato. Questa comunicazione deve essere effettuata per iscritto ed in forme tali da garantirne la ricezione da parte del privato interessato.

Sono significativi gli elementi di novità introdotti in tema di accordi che sostituiscono o integrano il provvedimento della PA. Si ribadisce la possibilità per la PA di concordare con gli interessati accordi scritti sul contenuto del provvedimento o sostitutivi dello stesso; tali accordi sono sottoposti agli stessi controlli previsti per il provvedimento finale e ad essi si applicano di regola le norme del codice civile sulle obbligazioni ed i contratti. Due i limiti posti dalla norma: occorre comunque garantire il perseguimento dell’interesse pubblico e non provocare alcuna lesione ai diritti di altri soggetti privati. Per facilitare la utilizzazione di tale strumento si prevede che il responsabile possa concordare un calendario di incontri con il destinatario del provvedimento e gli eventuali soggetto controinteressati. Si continua a prevedere la possibilità per la PA di recedere da tali accordi, ovviamente motivatamente per sopravvenuti interessi della PA e fermo restando l’obbligo di corrispondere eventuali indennizzi a favore del privato. E’ innovativa la disposizione per cui si prevede la preventiva adozione di una determinazione da parte dell’organo competente alla adozione del provvedimento. Il contenzioso è riservato alla competenza del giudice amministrativo.

Sono invariate le disposizioni sui procedimenti relativi alla erogazione di contributi, sovvenzioni etc. E’ necessaria la preventiva determinazione e pubblicizzazione da parte della PA dei criteri e delle modalità.

Parimenti invariate le norme sull’ambito di applicazione: sono esclusi i procedimenti diretti alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, pianificazione e programmazione, nonché quelli relativi ai procedimenti tributari.

LA COMUNICAZIONE DEI MOTIVI OSTATIVI

L’obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di comunicare preventivamente i motivi che ostano all’accoglimento delle istanze presentate da un cittadino costituisce una delle principali novità della riforma della legge n. 241/1990 contenuta nella legge n. 15/2005. Tale innovazione si realizza concretamente attraverso la introduzione di un nuovo articolo, il 10 bis. In tal modo il legislatore ha voluto rafforzare le prerogative dei cittadini e cerca di introdurre uno stimolo al decongestionamento del ricorso alla giustizia amministrativa per la soluzione delle controversie. In questo modo l’ente può valutare le ragioni che il privato sostiene a sostegno della propria richiesta ed il cittadino può conoscere le ragioni che hanno spinto l’ente a rigettare la sua istanza. Tale innovazione obbliga le amministrazioni a reingegnerizzare i procedimenti amministrativi, così da evitare che la nuova disposizione si traduca in un mero appesantimento delle procedure burocratiche. Occorre cioè che tale comunicazione sia assunta all’interno del procedimento come una tappa, riprendendone i contenuti nel provvedimento finale.

 

L’ambito

L’obbligo di comunicare preventivamente le ragioni che ostano all’accoglimento di una istanza si applica esclusivamente ai procedimenti amministrativi che sono avviati a seguito di domande presentate dai cittadini. Tale obbligo non si applica ai procedimenti che sono avviati d’ufficio. Su questo punto il legislatore è estremamente chiaro e netto e non vi sono dubbi applicativi.

Con la seconda delimitazione dettata dall’articolo 10 bis della legge n. 241/1990 sono escluse le “procedure concorsuali” e “i procedimenti in materia previdenziale e assistenziale sorti a seguito di istanza di parte e gestiti dagli enti previdenziali”. Qualche precisazione si impone sulla prima di tali esclusioni: per procedure concorsuali si devono intendere non solo quelle relative alle selezioni per le assunzioni di personale, ma anche quelle per la aggiudicazione degli acquisti di beni e servizi.

La disposizione detta un ulteriore ambito di delimitazione di tale obbligo: la “formale adozione di un provvedimento negativo” rispetto alla istanza presentata. Su questo punto qualche chiarimento si impone, a parte la ovvia conclusione che l’obbligo sussiste in caso di provvedimento negativo. In particolare, si deve stabilire se la comunicazione si impone nel caso in cui vi sia un accoglimento parziale o con rilevanti modificazioni rispetto alla richiesta presentata. Il dettato legislativo sembra limitare l’obbligo solo al caso in cui il provvedimento finale possa essere considerato un “negativo”, a prescindere dal fatto che tale rigetto sia parziale o totale.

 

Il procedimento

La norma prevede che l’obbligo di comunicazione debba essere soddisfatto prima che l’ente adotti il provvedimento finale. Si delimita quindi il momento finale, ma non si detta alcune prescrizione per la individuazione del momento a partire dal quale tale comunicazione deve essere resa. Tale comunicazione deve essere notificata al soggetto che ha avanzato l’istanza e da tale momento i termini del procedimento sono sospesi per 10 giorni e l’interessato può entro tale periodo presentare le proprie controdeduzioni. L’ente deve tenere espressamente conto di tali argomentazioni nel proprio provvedimento finale o adeguandosi a tali considerazioni ovvero ribadendo le proprie tesi, ma nel contempo rispondendo a quelle dei cittadini. Non si può considerare preclusa la possibilità per i privati di rispondere anche successivamente alla decorrenza dei 10 giorni: l’unico rischio in questo caso è che l’ente adotti nel frattempo il provvedimento finale, il che è invece precluso entro i 10 giorni successivi alla avvenuta ricezione della comunicazione da parte dell’ente.

 

Il soggetto responsabile

L’obbligo di effettuare questa comunicazione è posta in capo al responsabile del procedimento ovvero in capo “all’autorità competente”. In tal modo il legislatore non opta per nessuna delle soluzioni possibili. Ricordiamo che la stessa legge n. 241/1990 prevede tre soluzioni ovvero, per essere più precisi, due soluzioni, una delle quali ha due varianti: il responsabile del procedimento è il dirigente, il responsabile del procedimento è individuato dal dirigente in un dipendente dell’articolazione organizzativa. Tale soluzione ha due varianti: al responsabile del procedimento è attribuita o meno la competenza alla adozione del provvedimento finale.

Il legislatore rimette all’ente la scelta su chi deve effettuare la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento delle istanze per ognuna delle varie soluzioni organizzative che sono possibili. In altri termini, la comunicazione può essere effettuata tanto dal dirigente, quanto dal responsabile del procedimento che ha la competenza alla adozione del provvedimento finale, quanto da quello che non ha tale attribuzione. E, pertanto, in termini di legittimità non vi sono problemi sulla individuazione di chiunque tra tali soggetti effettui la comunicazione.

La scelta appartiene all’ente e, in particolare, al dirigente. Essa può trovare legittimamente una specifica disciplina in sede di regolamentazione, in particolare nel regolamento sui procedimenti amministrativi. Ma la scelta può essere effettuata direttamente da parte del dirigente. E la scelta può essere collegata al momento in cui interviene tale comunicazione viene effettuata. Per cui, se siamo nella fase iniziale, come ad esempio nel caso di esclusione per vizi, la competenza sembra spettare senza ombra di dubbio al responsabile del procedimento. Ricordiamo che la norma pone esplicitamente in capo a tale soggetto i compiti di verifica dei requisiti di ammissibilità e che essi sono legittimati a effettuare comunicazioni esterne.

Un ulteriore elemento da chiarire è costituito dal rapporto che si stabilisce tra le proposte del responsabile del procedimento ed il dirigente. Ricordiamo che la riforma della legge n. 241/1990 stabilisce che “l’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale”. Quindi, se il responsabile del procedimento si orienta al rigetto della istanza, può effettuare tale comunicazione ed il dirigente terrà conto della sua proposta e delle controdeduzioni eventualmente presentate dal diretto interessato. Mentre se il responsabile del procedimento ha proposto l’accoglimento della istanza ed il dirigente non condivide tale proposta spetta a lui l’onere di effettuare tale comunicazione e di tenere conto nel suo provvedimento finale delle argomentazioni del privato oltre che dare menzione della diversa proposta avanzata dal responsabile del procedimento.

 

La giurisprudenza

Già nei giorni immediatamente successivi allo 8 marzo 2005, cioè alla data di entrata in vigore della riforma della legge n. 241/1990, la giurisprudenza ha immediatamente chiarito che la norma si applica ai comuni ed ai procedimenti amministrativi che erano in corso. I provvedimenti finali, come ad esempio il rigetto delle domande di concessione edilizia o permesso a costruire o di una autorizzazione, che non sono preceduti da questa comunicazione sono stati ritenuti illegittimi e, quindi, viziati.

La norma non ha bisogno di essere recepita da parte dei singoli enti con proprie disposizioni regolamentari. Essa costituisce una sorta di prescrizione minima a cui tutte le amministrazioni si devono attenere. Ed inoltre la mancata effettuazione di tale comunicazione costituisce sempre una ragione di illegittimità e tale vizio deve essere rilevato anche nel caso in cui il contenuto del provvedimento finale debba essere ritenuto vincolato, come avviene per la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo.

L’EFFICACIA E L’INVALIDITA’ DEGLI ATTI AMMINISTRATIVI

Siamo dinanzi a disposizioni che sono completamente nuove e che qualificano, per riprendere Giovanni Virga, la norma come la legge non solo sul procedimento, ma anche del procedimento, in altri termini che ne sottolineano la valenza di carattere generale come disposizione di riferimento complessiva del diritto amministrativo.

In primo luogo, in tema di atti che limitano la sfera giuridica dei privati si dispone che loro efficacia si realizza con la comunicazione o la notifica nel caso di soggetti irreperibili. Sono possibili altre forme di comunicazione, attraverso la pubblicità, nel caso di una manifesta gravosità della comunicazione personale. Se non ha carattere sanzionatorio l’atto può, motivatamente, essere immediatamente efficace. L’atto è immediatamente efficace in caso di misure cautelari ed urgenti.

Viene sostanzialmente ampliato l’ambito degli atti cd ricettizi, cioè quelli che acquistano efficacia nei confronti del destinatario con la comunicazione. Questa categoria di atti limitativi, annota Vincenzo Martorano, della sfera giuridica dei privati si è ampliata, perché nel passato erano considerati tali dalla giurisprudenza amministrativa solo quelli che, creando obblighi in capo ai destinatari, necessariamente implicano la necessità di una loro conoscenza da parte degli stessi.

Un importante stimolo alla semplificazione è inoltre determinata in tale ambito dalla considerazione per cui, vedi su questo punto Luigi Oliveti, tutti gli atti cd ricettizzi possono essere trasmessi anche tramite fax, ovviamente a condizione che lo stesso garantisca la certezza della ricezione da parte del destinatario. In questo caso siamo dinanzi ad una eventuale inversione dell’onere della prova della mancata ricezione. Ovviamente ciò vale nel caso in cui la norma non abbia previsto specifiche forme di comunicazione.

Ed ancora, si dettano prescrizioni sulla esecutorietà degli atti. I provvedimenti aventi natura coattiva indicano il termine e le modalità di esecuzione; essi prevedono che, in caso di inadempimento, scatti la esecuzione coattiva.

In materia di provvedimenti efficaci si dispone che essi siano eseguiti immediatamente, fatta salva la possibilità per l’organo che lo ha disposto di sospendere motivatamente, per il tempo strettamente necessario, l’efficacia o la esecuzione.

La possibilità di sospendere l’efficacia od esecutività è disposta sia in capo alla PA emanante che ad un’altra prevista da legge. Occorre indicare il relativo termine.

Si prevede la possibilità di revoca per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, per mutamenti della situazione di fatto, per una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario. A seguito della revoca il provvedimento è inidoneo alla produzione di nuovi effetti e deve essere disposto l’indennizzo per i pregiudizi determinati in capo a privati. La competenza in caso di contenzioso appartiene al giudice amministrativo.

E’ disposta inoltre la possibilità di recesso unilaterale della PA esclusivamente nei casi previsti dalla legge o dal contratto.

Una serie di specifiche disposizioni sono dettate per la disciplina delle ipotesi di invalidità degli atti. La nullità è definita come la carenza di elementi essenziali,il vizio assoluto di attribuzione, la violazione o la elusione del giudicato, ovvero negli altri casi previsti da norme di legge. La annullabilità si ha nel caso di violazione di legge, di eccesso di potere o di incompetenza. Essa non può essere disposta se l’atto è a contenuto vincolato, anche nel caso della mancata comunicazione dell’avvio del procedimento. Elemento questo che il legislatore h introdotto sulla base della ormai consolidata interpretazione giurisprudenziale. Si prevede l’annullamento d’ufficio se vi è un interesse pubblico a tal fine, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Esso è disposto dal soggetto che ha adottato l’atto o da un altro previsto dalla legge. E’ comunque prevista la possibilità di convalida del provvedimento annullabile

LA LEGGE N. 69/2009

Il testo è assai rispettoso, anche rispetto alla proposta iniziale, della tutela della autonomia degli enti locali e delle regioni. Basta ricordare i poteri che tali livelli istituzionali devono esercitare per la fissazione dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi. E la soppressione delle nuove regole di impronta centralistica in tema di acquisti di beni e servizi, con particolare riferimento alle cd centrali di committenza.

Sono state rinviate alla normativa sui piccoli comuni che, nell’ambito della riforma del DLgs n. 267/2000, il Parlamento dovrebbe presto esaminare e votare, le norme sugli enti di più ridotte dimensioni, ivi comprese quelle sui segretari.

La conclusione dei procedimenti amministrativi

Tutti i procedimenti amministrativi, tranne quelli per i quali è previsto il silenzio assenso o che costituiscono dichiarazione di inizio attività, devono essere conclusi, senza alcuna differenziazione tra quelli avviati d’ufficio e quelli aperti su impulso di parte. Di regola il termine finale è fissato in 30 giorni. I termini decorrono dall’avvio, se il procedimento è aperto d’ufficio, e dalla ricezione della domanda, se esso è aperto su impulso del soggetto interessato. Si prevede inoltre che i termini possano essere sospesi solo per una volta in caso di richiesta di ulteriore certificazione o di integrazione delle informazioni, sempre che le certificazioni non siano già a disposizione dell’ente e/o di un’altra PA.

Per le amministrazioni statali si stabilisce che, con specifico regolamento, siano individuati i procedimenti per i quali il termine di conclusione è fissato in un periodo inferiore a 90 giorni dall’avvio. Ed ancora si stabilisce che i termini possano essere fissati per un periodo più lungo in ragione della” sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento”. Comunque, fatte salve le eccezioni direttamente fissate dalla norma, non si possono superare i 180 giorni, cioè 6 mesi. Le amministrazioni hanno 12 mesi per adottare il regolamento e, nelle more, continuano ad osservarsi i termini precedentemente in vigore se essi non sono superiori a 90 giorni.

Le regioni e gli enti locali hanno 1 anno di tempo per esercitare la propria ampia autonomia regolamentare e fissare i termini di conclusione dei singoli procedimenti, sulla base dei principi dettati per le amministrazioni statali.

Un elemento assai importante, anche se nella legislazione previgente questo principio poteva essere comunque trovato, è quello per cui in caso di mancata adozione del provvedimento entro i termini, matura automaticamente la responsabilità dirigenziale o di risultato e se ne deve tenere conto nella valutazione. Nei casi in cui il ritardo ha determinato un danno al privato questi ne può chiedere, presentando istanza al giudice amministrativo, il risarcimento e di questi dati si deve espressamente tenere conto nella valutazione ai fini della erogazione della indennità di risultato. Vengono infine ridotti i termini anche per i procedimenti tesi al rilascio di valutazioni tecniche; i loro esiti vanno trasmessi in forma telematica.

Si stabilisce altresì che il ricorso al giudice amministrativo, che è individuato come soggetto competente, non deve necessariamente essere preceduto dalla diffida all’ente pubblico inadempiente.

La forma utilizzata dal legislatore è la modifica delle disposizioni dettate dalla legge n. 241 del 1990, per come cambiata dalla legislazione successiva ed in particolare dalla legge n. 15 del 2005.

La conferenza dei servizi

Proseguendo lungo la strada aperta dalla normativa in vigore viene significativamente ampliato e snellito lo strumento della conferenza dei servizi. In primo luogo si stabilisce che possa parteciparvi, senza diritto di voto, il soggetto che è interessato al provvedimento, nonchè i concessionari di pubblici servizi e le amministrazioni che rilasciano i contributi economici. Viene inoltre rafforzata la possibilità di svolgere la conferenza dei servizi in forma telematica.

L’organizzazione

Si stabilisce l’obbligo di pubblicare sul sito internet le seguenti informazioni per i dirigenti ed i segretari: le retribuzioni annuali, i curricula vitae, gli indirizzi di posta elettronica ed i numeri telefonici ad uso professionale. Ed ancora dovranno essere resi noti tramite lo stesso strumento i tassi di assenza e di maggiore presenza del personale distinti per uffici di livello dirigenziale

Le amministrazioni possono acquisire direttamente sul mercato, se ottengono condizioni positive, i servizi prima svolti al proprio interno: in questo caso devono trarne le automatiche conseguenze di riduzione sulla consistenza delle proprie dotazioni organiche. Esse dovranno inoltre provvedere al congelamento dei posti e alla temporanea riduzione dei fondi della contrattazione in misura proporzionale al numero di dipendenti interessato, così da rendere effettivi i risparmi.

Si introducono ulteriori lievi correzioni o, per meglio dire, integrazioni alle disposizioni esistenti in materia di conferimento degli incarichi di collaborazione. Essi possono essere conferiti, senza necessità di verificare il possesso della laurea, ai soggetti utilizzati per i “mestieri artigianali o dell’attività informatica nonché a supporto dell’attività didattica e di ricerca, per i servizi di orientamento, compreso il collocamento, e di certificazione

dei contratti di lavoro, purché con oneri esterni non a carico del bilancio”.

Dovranno essere diffuse le buone prassi amministrative, tenendo conto di ciò nelle valutazioni dei dirigenti. Ed ancora si dovranno pubblicare sui siti internet i tempi normali di attesa per la conclusione dei procedimenti e di pagamento della specifica amministrazione.

Le carte dei servizi

Tutte le amministrazioni si devono dare carte dei servizi. Esse devono prevedere le forme di tutela non giurisdizionale offerte agli utenti e che le stesse si devono concludere entro 30 giorni. Per avere un quadro unitario di riferimento verrà realizzato uno schema tipo di tali documenti.

 

Lo e-gov

Gli enti che hanno un sito internet devono, entro il 30 giugno 2009, attivare un sito di posta elettronica certificata ed entro il 31 dicembre devono pubblicare il registro dei processi automatizzati diretti al pubblico. Le PA possono assegnare ai cittadini, al fine di facilitare il dialogo, caselle di posta elettronica certificata.

Si introducono ulteriori disposizioni tese ad incentivare il ricorso allo strumento Voip per le comunicazioni telefoniche.

Sono previste forme di stimolo alla utilizzazione della carta dei servizi. Il Governo è delegato alla riforma del codice delle amministrazioni digitali. Dallo 1.1.2010 le PA si dovranno impegnare alla riduzione della produzione cartacea.

Viene incentivato il ricorso alla banda larga, in particolare nelle aree con ritardo di sviluppo; infatti almeno l’85% delle risorse messe a disposizione per le regioni meridionali. Questi finanziamenti devono integrare e sostenere gli altri finanziamenti, siano essi pubblici che privati e si prevede il ricorso allo strumento del project financing. Per semplificare la realizzazione di questi interventi si prevede la deroga, con il consenso del proprietario della strada utilizzata, alla profondità minima della installazione dei cavi a fibre ottiche, nonché ai vincoli previsti per i lavori da realizzare nell’ambito dei condomini.

La semplificazione normativa

Il Governo è impegnato ad utilizzare metodi chiari nella redazione dei testi normativi. Le abrogazioni devono essere formulate in modo espresso; i riferimenti ad altri testi devono riassumerne, anche in sintesi, il contenuto essenziale. Ogni 7 anni i testi unici devono essere rivisti ed aggiornati e si pone la norma di principio per la quale la legislazione deve di regola essere raccolta in testi unici compilativi; ricordiamo che come tali si intendono le raccolte di leggi che non operano alcuna modifica, se non semplici coordinamenti di natura formale. Si concedono altri 24 mesi all’esecutivo per individuare le norme di legge precedenti al 1970 che devono ancora essere confermate. Decorso un anno da tale termine le norme non confermate sono abrogate automaticamente.

Il diritto di accesso

Si rafforza la tutela offerta al diritto di accesso, in particolare nei confronti degli enti locali, che non possono fissare standard inferiori rispetto a quelli previsti direttamente dal legislatore. Si stabilisce che queste disposizioni (al pari di quelle sulle dichiarazioni di inizio attività) siano considerate relative “ai livelli essenziali delle prestazioni” e che, quindi, esse siano vincolanti per tutti i soggetti, pubblici e privati, ivi comprese le regioni a statuto speciale. Viene inoltre previsto che queste disposizioni si applichino “alle società con totale o prevalente capitale pubblico, limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative”.

Le altre principali disposizioni

Dalla possibilità di ricorrere alla dichiarazione di inizio attività sono esclusi anche i procedimenti relativi alla cittadinanza ed al diritto di asilo.

Con provvedimento delegato saranno dettati i criteri per il potenziamento delle attività delle farmacie. I comuni fino a 5000 abitanti potranno limitarsi ad indicare la PA che detiene queste notizie, quando ciò viene loro richiesto.

Nelle gare di appalto sono stati semplificati i vincoli prima imposti in materia di partecipazione dei privati a consorzi.

Si conferisce al Governo la delega per la revisione del CNIPA, del Formez e della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione.

Si stabilisce che gli obblighi di pubblicità potranno essere soddisfatti anche tramite i siti internet dell’ente.

Vengono introdotte modifiche alle norme di legge sui tempi nelle città, al fine di rendere più incisivi i risultati di razionalizzazione dalle stesse previste.

Sono introdotte alcune modifiche alle norme contenute nel DL 112 in tema di impresa in un solo giorno e di sportello unico per le attività produttive.

Il Governo è delegato alla adozione di norme per la revisione del processo amministrativo.

Sono previste numerose forme di snellimento dei processi, in particolare civili, e viene delegato il Governo alla adozione di ulteriore misure di semplificazione in questa materia, nonché in altre collegate (come le notificazioni, le trascrizioni, gli atti informatici redatti da notai, le riscossioni etc).

Viene ridotto il numero massimo di componenti degli organi di gestione delle società pubbliche.